Perché "A tavola nel convento del santo"? Perché è lì che ci porta il manoscritto n. 9, compilato da un umile e quasi ignoto cuoco al servizio della comunità. Poco sappiamo di lui: proveniente da un piccolo borgo del Trentino, con qualche difficoltà di scrittura, egli annota nel suo quaderno cibi e vivande che prepara a pranzo e cena per i frati del convento, e per le altre numerose persone spesso ospiti presso la comunità francescana di Padova. Il cuoco tuttavia non scrive solo di gastronomia, ma anche di eventi e personaggi che attirano la sua attenzione, lasciando così testimonianze di grande interesse per la storia sociale e religiosa di quegli anni, i primi decenni dell'Ottocento. Riguardo alla descrizione dei menu quotidiani si può dire che il documento è fino ad oggi l'unico riguardante la storia della cucina padovana del periodo. Il manoscritto ci consegna dunque una cucina fortemente legata al territorio e ai prodotti stagionali, spesso provenienti da proprietà del convento; abbonda il riso, usato quotidianamente insieme alla pasta per le minestre, mentre pesci, uova, formaggi e verdure sono consumati nei giorni di magro. Non mancano eventi più o meno lieti: celebrazioni legate al culto del Santo, presenza di celebri predicatori, ma anche la paura dell'incipiente epidemia di colera, o i danni che la città subisce per temporali e grandinate eccezionali. Il tutto descritto con garbo e umiltà, e ravvivato da velate "riflessioni" personali che danno al testo gradevole vivacità.