Tre punti di vista distinti e convergenti per cercare di comporre in un insieme armonico figli, lavoro e vita personale: madri, padri e aziende vengono accompagnati a riflettere su nuovi modelli possibili di gestione del work-life balance con uno sguardo multidisciplinare, tra comportamento organizzativo, psicologia e management. Da un lato, infatti, il ruolo materno ha un grado di complessità sconosciuto alle generazioni precedenti: la scelta di diventare madri e, in parallelo, continuare nel proprio impegno professionale si scontra ancora con il duplice dogma per cui "se sei una brava madre non dovresti lavorare" e "se vuoi lavorare bene non dovresti essere madre". Legittimare nelle donne la loro ambivalenza verso i vari ruoli e verso la fatica stessa della conciliazione significa porre le premesse più solide perché l'esperienza della maternità si traduca in una ri-nascita positiva a se stesse, alla relazione genitoriale e al ruolo professionale. Contemporaneamente, anche in Italia, stanno comparendo sulla scena i "nuovi padri", che rivendicano un ruolo attivo fin dalla sala parto. Questo coinvolgimento affettivo, operativo e concreto nella vita dei figli piccoli pone la necessità di una revisione di modelli sia familiari, sia aziendali. Per le organizzazioni lavorative si tratta di guardare alla genitorialità con uno sguardo che non solo contempli le neo-madri in congedo, ma coinvolga padri e genitori che vogliono essere più presenti nella vita dei figli.
Il tema dell’Age diversity assume oggi rilevanza primaria all’interno del dibattito più ampio relativo al Diversity Management, vale a dire all’interno delle politiche aziendali volte a gestire e valorizzare le diversità dei lavoratori. A rendere ancora più urgente il tema, oltre alla consapevolezza che è in atto un processo di invecchiamento della forza lavoro (come conseguenza diretta dell’invecchiamento della popolazione mondiale) è il nuovo e recente indirizzo normativo che ha sancito il prolungamento dell’età lavorativa, al di là di ogni aspettativa. Ma i dati presentati nel libro dimostrano che esiste solo una coorte di età in cui le aziende investono sugli individui: mediamente, solo se il lavoratore ha un’età compresa tra i 30 e i 45 anni le imprese mettono in atto politiche gestionali per ascoltare il talento, per farlo crescere e acquisire competenze. Chi lavora e ha meno di 30 o più di 45 anni sembra pagare un prezzo dal momento che lo sviluppo e la carriera nelle organizzazioni moderne sono fortemente influenzati da pregiudizi nei confronti dell’età. La sostenibilità delle aziende nell’immediato futuro sarà determinata da un nuovo modello in grado di trovare un punto di equilibrio tra la capacità di motivare e ingaggiare la forza lavoro più senior e la capacità di mantenere attivo il mercato delle assunzioni e i processi di sviluppo verso i target più giovani. E la revisione degli attuali meccanismi di gestione delle persone, tra cui il modello di carriera, è uno step fondamentale.