In questo prezioso saggio, maturato nel pieno della Prima guerra mondiale e scritto in una prima versione nel 1916, per poi essere corposamente ampliato per l'edizione del 1923, Max Scheler indaga con lucidità fenomenologica i vissuti del dolore e della sofferenza. Il lettore si trova, così, messo a confronto con l'intera storia del pensiero filosofico, secondo un percorso che dall'etica e dall'antropologia filosofica si apre alla metafisica e alla filosofia della religione. Il richiamo aristotelico del significato del dolore, come segnale di pericolo per la dimensione vitale dell'organismo, è ribadito con forza, venendo, però, subito messo vertiginosamente a confronto con lo scandalo della presenza stessa della sofferenza. Da qui un cambio di passo decisivo che costringe a fare i conti con un'alternativa radicale: quella tra buddhismo e cristianesimo. Non solo per cercare di prendere in qualche modo le misure al dolore e alla sofferenza, ma per incontrarli; perché di questo alla fine, secondo Scheler, si stratta: di riuscire a incontrare il dolore e la sofferenza nel modo più autentico per non smarrire il significato del proprio essere personale.