"Il tempo e l'altro" ospita quattro conferenze tenute da Emmanuel Levinas nel 1946-1947, durante il primo anno della sua attività al Collège philosophique fondato da Jean Wahl. Queste pagine, anche alla luce della pubblicazione delle opere inedite di Levinas, in particolare i Carnets de captivité, appaiono come un luogo di "gestazione" dei temi centrali della maturità teoretica dell'Autore. Di più, ne costituiscono una prima sintesi. Un'opera fondamentale per cogliere la cellula germinale del pensiero di Levinas e riscoprirne la grandiosa originalità. Postfazione Francesca Nodari.
In un'era dominata dal disorientamento, sempre interconnessa ma abitata da solitudini che si moltiplicano, l'antropologo ed etnologo Marc Augé, cui si deve l'introduzione delle nozioni di non-lieux e di surmodernità, affronta questioni centrali dell'umanità stessa dell'uomo: la felicità, la dignità, la fiducia, il preoccupante incremento delle disuguaglianze. Il volume, che trova il suo fil rouge nel senso profondo del condividere l'umanità generica che abita in ciascuno di noi, diviene una sorta di vademecum per il nostro presente. Quasi assopito in una pseudo felicità sedentaria, il soggetto contemporaneo - teso tra paura del futuro e relazioni di superficie - sembra arrancare in un presente continuo segnato da un clima di crescente barbarie. L'autore, lungi dal lasciare spazio al pessimismo, offre al lettore una sorta di kit di sopravvivenza e una bussola per orientarsi nel nostro tempo. Ci invita altresì a scommettere su una chance in cui ne va del nostro stesso futuro: l'utopia dell'educazione.
In quest'era dove si impiega qualsivoglia espediente per toccare l'altro suscitando un inevitabile "syn-pathein". Augé mostra come la plurisignificatività del toucher esiga un saper toccare tanto più quando questo sfioramento riguarda il corpo dell'altro. Ciò implica essere consapevoli del fatto che in quel tocco, per un verso, riconosco che «ogni identità individuale si costruisce in relazione all'alterità», per l'altro, che in questo stesso gesto si dà una distanza tra me e chi ho di fronte. Nel nostro tempo segnato da un individualismo sempre più spiccato, non solo si tende a misconoscere la parte di umanità generica che c'è in ciascuno di noi, ma si giunge persino al paradosso di affidare l'onore della prova della propria esistenza agli altri. Come i luoghi hanno sullo sfondo i nonluoghi così l'uomo surmoderno ha sullo sfondo il modello seriale di un io tracotante, iperconnesso, disorientato, in preda alla paura e sotto lo scacco della solitudine. Di qui il venire a datità di quel corto circuito degli elementi che stanno alla base del simbolico: lo spazio e il tempo. Ma non tutto è perduto: nella stretta di mano che suggella la promessa suprema prima del naufragio il toccare si fa segno tangibile del fatto che un altro mondo è possibile.