"Un giorno il mio amico Carlos Frías, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frías insistette, dicendo: "Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo". Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero L'artefice". Così, con somma sprezzatura, Borges racconta la genesi di quello che è forse il libro più ricco e personale della sua maturità, quello in cui la sua scrittura raggiunge una misura e una classicità destinate a rimanere insuperate. Qui il lettore troverà alcuni degli scritti che meglio esprimono il sentimento borgesiano dell'esistenza, il suo continuo interrogarsi sul mistero dell'identità, della realtà, del tempo e, naturalmente, sull'essenza della parola e della letteratura.
Nell'ottobre del 1973, per esprimere il suo dissenso nei confronti di Perón, appena tornato al potere, Borges abbandona l'incarico di direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires; contemporaneamente le condizioni di salute di sua madre, Leonor, cominciano a declinare in maniera inesorabile: morirà nel 1975, dopo una lunga agonia. Precisamente a questo arco temporale appartengono i testi poetici radunati in "La rosa profonda", sui quali, non a caso, il senso della fatalità e di un destino "di brevi gioie e lunghe sofferenze" - strumento di un Altro imperscrutabile - sembra gettare un'ombra lunga.
Spinto dalla passione per le strane entità sognate dagli uomini, Borges ha perlustrato nel corso degli anni letterature e mitologie, enciclopedie e dizionari, resoconti di viaggio e antichi bestiari, scoprendo tra l'altro che la zoologia fantastica è percorsa da singolari affinità: così, ad esempio il Pesce dei Terremoti, un'anguilla lunga settecento miglia che porta il Giapppone sul dorso, è analogo al Bahamut delle tradizioni arabe e al Milgardsorm dell'"Edda". L'esito di questa sterminata ricognizione è un manuale che il lettore è caldamente invitato a frequentare "come chi gioca con le forme mutevoli svelate da un caleidoscopio". Ritroverà così animali che già gli erano familiari, ma che ora tradiscono caratteri insospettati: come l'Idra di Lerna, la cui testa - sepolta da Ercole - continua a odiare e sognare, o il Minotauro. Imparerà a conoscere esseri che sembrano usciti dalla fantasia stessa di Borges: come la "gente dello specchio", ridotta a riflesso servile dall'Imperatore Giallo dopo aspre battaglie, o il funesto Doppio, suggerito "dagli specchi, dall'acqua e dai fratelli gemelli". E si imbatterà in creature di cui neppure sospettava l'esistenza: come lo hidebehind dei taglialegna del Wisconsin e del Minnesota, che sta sempre dietro a qualcosa. E sempre aleggia lo humour di Borges, il quale ci spiega compassato che la qualifica di contea palatina attribuita al Cheshire provocò l'incontenibile ilarità dei gatti del luogo, donde, con ogni probabilità, il gatto del Cheshire.
Apparso nel 1972, "L'oro delle tigri" si inscrive in uno dei periodi più intensi dell'attività poetica di Borges e ne documenta un volto nuovo. La meditazione sui temi del tempo, dell'identità, del sogno è percorsa da un sentimento elegiaco di rimpianto e di nostalgia meno dissimulato e controllato e le domande sul mistero dell'esistenza, della morte, della divinità esprimono ora un senso di profonda desolazione più che un'urgenza speculativa. Il Borges di questi anni è meno restio ad abbandonare la sua "estetica del pudore" e più incline a parlare di sé, delle sue tristezze, della sua solitudine, delle assenze, degli amori mancati.
Composto, per progressivi incrementi, intorno a un nucleo originario di sei testi, riuniti sotto il generico titolo di «Altre poesie» all'inizio degli anni Quaranta, «L'altro, lo stesso» vede la luce alla fine del 1964 e costituisce la più copiosa delle raccolte poetiche borgesiane. Il volume ci consente di seguire, lungo l'arco di oltre un trentennio (il testo più antico è del 1934, e la silloge ne ingloberà di nuovi fino al 1967), l'evoluzione della scrittura poetica di Borges, dalle poesie della «crisi» successiva al declino delle avanguardie a quelle della piena maturità, contrassegnate dalla conquista di compostezza e misura formale.