"Le milizie comuniste ci portarono in un "monastero-campo di concentramento". Vi erano religiosi di tutti gli ordini e congregazioni. Ci suddivisero in gruppi e ci misero in diversi campi di lavoro. Io, con altri quattro gesuiti, avevo un documento di esenzione dal servizio militare per ragioni di salute. Per un gioco della Provvidenza ci trovammo liberi e cominciammo a lavorare in un'impresa civile". Ján Korec, classe 1924, giovanissimo vescovo slovacco, si ritrovò a riparare ascensori e fare l'operaio in incognito, per 25 anni, nelle fabbriche comuniste, dedicandosi al tempo stesso al servizio della Chiesa soprattutto attraverso la pubblicazioni di libri e samizdat. Tenuto in libertà vigilata e sotto il controllo della Polizia di Stato, venne arrestato nel 1960 e rinchiuso nel carcere di Valdice. Liberato dodici anni dopo, nel 1990 venne nominato vescovo di Nitra, prima sede episcopale dell'Europa centrale, e l'anno successivo creato cardinale. Apertamente ostile all'Ostpolitik vaticana, Korec ha confessato di aver sofferto meno nelle prigioni che quando gli imposero di non ordinare sacerdoti nella clandestinità: "Ho ubbidito. Questo è il mio testamento: non lasciarsi mai coinvolgere in azioni che dividono la Chiesa". Prefazione del card. Giovanni Coppa.
Per molti ragazzi italiani Londra è musica, indipendenza, libertà, contatto col mondo. Per altri è un grande supermercato di stupefacenti, il luogo giusto per fuggire e perdersi. Ma anche chi parte con un sogno a volte si sveglia dentro un incubo: per un'inezia i più ingenui si ritrovano nelle carceri di Sua Maestà, soli e lontani da casa. Per loro padre Di Giovanni è un intermediario nel senso più profondo. Scrivono a lui come a se stessi, increduli per l'affetto e la solidarietà trovati: brevi appunti o lettere lunghissime, scelte e pubblicate qui insieme a quelle dei familiari.