A più di cento anni dalla promulgazione della costituzione di Querétaro (5 febbraio 1917), considerata una delle più anticlericali di tutto il Novecento, l'ostilità verso la libertà delle fedi religiose di agire come tali nello spazio pubblico continua a rappresentare un tratto distintivo della società messicana, nonostante le riforme costituzionali che nel 1992 e nel 2013 hanno cercato di adeguare la disciplina interna del diritto di libertà religiosa agli standard riconosciuti a livello internazionale. Ancora oggi il Messico, come ai tempi della guerra cristera del 1926-1929, è uno dei luoghi più pericolosi al mondo dove esercitare il ministero sacerdotale, in particolare nelle regioni più colpite dalla piaga del narcotraffico. A ciò si aggiunge l'ostracismo a cui tendenzialmente va incontro chi, spinto dalla propria appartenenza religiosa, sostiene pubblicamente rivendicazioni di natura sociale o civica. L'eccezionalità del caso messicano sul piano della tutela del diritto di libertà religiosa continua dunque a suscitare domande, per rispondere alle quali non si può prescindere dalla complessa (e talora drammatica) storia dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica nel paese. Riflettere sul valore paradigmatico dell'esperienza messicana, a partire da una prospettiva al tempo stesso storica e giuridica, è l'obiettivo che si propone il presente volume.