«Sono orgoglioso di aver fatto tutto il mio dovere a favore della patria e di non appartenere a quel gruppo di traditori che, nonostante il giuramento solenne prestato all’inizio della carriera, si è poi volto all’obbedienza di una loggia massonica segreta che certamente è la responsabile di tutti i depistaggi avvenuti nel corso e a seguito delle varie stragi».
Dopo la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), il paese prese consapevolezza dell’esistenza di una «strategia della tensione» che mirava a erodere le basi dello Stato democratico. Da quel primo attentato fu un susseguirsi di eventi sanguinosi, mai chiariti fino in fondo: dalla strage di Peteano a quelle di Ustica e di Bologna. Questi eventi non solo hanno destabilizzato fortemente la convivenza civile, ma hanno pure condizionato la storia del paese fino ad oggi. Di queste vicende parla con grande chiarezza il generale Pasquale Notarnicola, ai vertici del SISMI (Servizio di sicurezza militare) dal 1978 al 1983. Nelle sue memorie, oggi pubblicate per la prima volta, ricostruisce dall’interno una pagina tragica della storia italiana. Per molti anni, i processi per definire le responsabilità hanno visto una sorprendente alternanza di assoluzioni e condanne, tra depistaggi, falsificazioni e omissioni, dando all’opinione pubblica l’impressione che non si potesse mai arrivare alla «verità». Ma le inchieste sono proseguite e, anche grazie alle testimonianze di servitori dello Stato come Notarnicola, molte responsabilità sono state chiarite. Oggi infatti sappiamo che l’obiettivo della strategia della tensione non era ricostituire uno Stato autoritario, ma delegittimare il Partito comunista per impedirgli di avvicinarsi al governo, accusandolo di essere responsabile del caos che stava colpendo il paese. Inoltre, abbiamo certezza che i vertici dei servizi segreti e gruppi neofascisti come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e i NAR hanno intrecciato la loro attività eversiva con quella dei Servizi segreti di alcuni paesi stranieri, delle Forze armate, del mondo politico e di organizzazioni internazionali come la loggia massonica P2, con i suoi ulteriori e oscuri intrecci con la criminalità organizzata. Il generale Notarnicola entra nelle pieghe più oscure di questi intrecci con la sua esperienza diretta, a tratti sconvolgente per il livello intricato di infiltrazione nei gangli vitali dello Stato da parte della P2 e del suo capo, Licio Gelli. Tuttavia, secondo Notarnicola, Gelli era solo la pedina di un sistema più grande e a lui superiore, così potente da ostacolare il generale nella sua attività investigativa, ostracizzarlo, depistarlo, per allontanarlo dalla verità. Angelo Ventrone – storico e studioso dei fenomeni eversivi nel nostro paese – ha ascoltato Notarnicola come testimone diretto di una stagione terribile, che tarda a farsi storia ma che deve essere portata alla luce perché la vita democratica possa proseguire senza ombre.
Pasquale Notarnicola
Pasquale (Lino) Notarnicola (1930-2021) nel 1951 entra all’Accademia militare di Modena, per proseguire il suo percorso alla Scuola di applicazione di Torino e poi essere assegnato al Reggimento Lancieri di Novara. Frequenta la Scuola di guerra a Civitavecchia e in seguito viene chiamato presso lo Stato maggiore dell’esercito, a Roma. Dal 1978 al 1983 è al SISMI, prima come responsabile della Prima Divisione e poi come coordinatore di tutte le divisioni operative. Promosso generale di Brigata, lascia il SISMI e torna al comando della Brigata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli. Successivamente diventa generale di Divisione. Ha sempre collaborato lealmente con la magistratura e le Commissioni parlamentari d’indagine.
Come mai nella lotta politica italiana non esistono normali avversari con idee e valori da rispettare, ma piuttosto acerrimi nemici, spesso ritratti come portatori di interessi occulti capaci di mettere a repentaglio il bene comune? Qual è la ragione di questo tragico vizio italiano che nasce con la Grande guerra; si riabissa durante il fascismo e riaffiora nel dopoguerra, con tanto di pugnali, pistole e fucili ostentati sui manifesti elettorali del 1948? E perché la radice di questo vizio è così profonda da riuscire ad avvelenare il clima di qualunque campagna elettorale, comprese le ultime? Sono questi gli interrogativi cui provano a dare una risposta alcuni storici italiani, ricostruendo ciascuno da un'angolatura diversa l'ultimo secolo di lotte politiche. Nucleo essenziale dell'analisi è il conflitto mai sopito tra fascismo e antifascismo, e tra comunismo e anticomunismo, ma non meno importante risulta quello tra laici e cattolici, e la più attuale diatriba tra politica e antipolitica.