Tra il settimo e il sedicesimo secolo i musulmani conquistarono vaste aree delle regioni mediterranee e dell'Europa centro-orientale abitate prevalentemente da cristiani. Alcuni di quei territori, la cui popolazione nel frattempo era divenuta in maggioranza musulmana, furono riconquistati dai cristiani tra l'undicesimo e il quindicesimo secolo. Sovrani e sudditi si sono dunque trovati spesso a professare fedi diverse, ma quali sono state le strategie elaborate dalle élite nel corso dei secoli per governare questo avvicendamento di fedi e popoli? E cosa avvenne quando cambiarono gli equilibri e le genti "infedeli" divennero minoranza? Questo libro esamina i complessi rapporti tra dominatori e sudditi di religioni diverse, osservandone l'evoluzione nell'ampio arco cronologico che va dalle prime conquiste degli Arabi nel Vicino Oriente nel settimo secolo, allo scambio nel 1923 tra Turchia e Grecia dei cristiani e musulmani residenti nei loro territori. Quanto emerge da uno sguardo così ampio, gettato sulla storia di un intreccio di culture tanto prossime, smonta molti pregiudizi ponendo domande che ci riguardano ancora.
Il destino dei tiranni è quello di doversi guardare dall'ombra che il potere proietta alle loro spalle: il tirannicidio. Non c'è tiranno che non sia stato esposto alla possibilità di essere rimosso con la forza, come se la tirannide implichi la possibilità dell'omicidio non solo di fatto, ma anche di diritto. Per questo la tradizione politico-giuridica occidentale si è interrogata sin dalle sue origini, in Grecia, se, quando e in quali termini fosse lecito uccidere il tyrannus. Da allora ogni epoca ha affrontato la questione con appassionati dibattiti, accese polemiche, esplosive (in senso figurato e non) dimostrazioni, lungo un fil rouge che questo saggio segue fino ai giorni nostri, ripercorrendo colpi di Stato, attentati e brutali linciaggi. Perché, se la tirannia è una costante dell'esperienza politica - pur con modalità e forme diverse, da Cesare a Gheddafi, da Ipparco a Luigi XVI - lo sarà sempre anche la necessità di rovesciarla, e come recita il motto dei tirannicidi: Sic semper tyrannis!
Templari e francescani nacquero dal tentativo di fornire un orizzonte nuovo alla religiosità laicale. Entrambi, benché in tempi diversi, mantennero uno stretto legame con la Terrasanta, custodendone i luoghi in favore dei pellegrini, armati e non. Dal loro confronto emergono notevoli somiglianze ma anche differenze sostanziali, pur nella continuità e nella tensione tra crociata e missione, che entrambi incarnavano. L'ideale "passaggio di testimone" dall'uno all'altro ordine avrebbe portato, nei primi decenni del Trecento, alla fondazione della Custodia Terrae Sanctae - ancora oggi attiva -, istituzione che avrebbe raccolto il legame profondo instaurato coi Luoghi Santi dal Tempio sino alla sua soppressione, nel 1312. Per entrambi gli ordini, la Terrasanta rivestiva un ruolo particolare; un ruolo troppo spesso banalizzato nel tradizionale accostamento degli uni alla guerra e alla difesa del territorio, degli altri alla pace (se non a un anacronistico "pacifismo"). Questo libro mostra come la realtà fosse piú complessa, raccontando la storia del rapporto fra templari e minori, tra laicato cristiano, crociata e Terrasanta.
L'Impero romano d'Occidente, diviso da quello d'Oriente da fratture sempre più rilevanti e ridotto nelle sue dimensioni, confidava ormai per la sua sopravvivenza su truppe germaniche mercenarie, potenzialmente agguerrite, ma fedeli in prima istanza ai loro comandanti. Odoacre, che governò l'Italia con il titolo di re e riconobbe l'autorità suprema ed esclusiva dell'imperatore di Costantinopoli, era uno di questi. Fu lui a deporre Romolo Augustolo nel 476, ultimo atto di una serie di eventi, in alcuni casi drammatici, che scandirono la caduta di Roma a partire dall'inizio del V secolo d.C. Questo libro racconta la crisi politica, economica e militare, che investì l'Impero romano d'Occidente sino alla sua caduta "silenziosa" nel 476, evento conclusivo della storia della più grande potenza del mondo antico.
Il 1956 fu un anno decisivo per le sorti del mondo arabo-islamico. La crisi di Suez dell'ottobre di quello stesso anno, scaturita dalla nazionalizzazione del canale (avvenuta nel luglio 1956), aveva sancito la fine degli imperialismi britannico e francese e il conseguente, prepotente, ingresso in scena degli Stati Uniti d'America e dell'Unione Sovietica. Un passaggio di consegne fatto di complotti, accordi segreti, colpi di scena, carte bollate, spie e carri armati durato dall'ottobre del 1956 sino alla primavera del 1957. Una storia dove agenti dell'intelligence, vecchi monarchi, militari e politici intrecciano i loro destini ognuno nel disperato tentativo di salvaguardare i propri interessi. Questo libro ricostruisce i complessi e ancora oscuri avvenimenti di quegli anni, accompagnando il lettore fra gli intrighi di palazzo e i retroscena, in parte ancora mai raccontati, di quei tumultuosi mesi. Il tutto partendo dalla vita del giovane Nasser, dal suo esordio nella vita pubblica egiziana sino alla conquista della presidenza dell'Egitto. Un'avvincente spy story che portò il mondo sull'orlo del terzo conflitto mondiale, cambiando per sempre gli equilibri del Medio Oriente.
La millenaria convivenza di ebrei, cristiani e musulmani ha svolto un ruolo di garanzia del carattere plurale dei paesi in quest’area, sopravvissuta anche allo shock del 1948, con la nascita di Israele. Questo libro vuole rendere giustizia a una storia antica e attuale, con la preoccupazione che, se cade la convivenza multireligiosa in Palestina, potrà estinguersi in tutto il Medio Oriente. I segnali del declino ci sono da tempo. Ma se questo avvenisse, sarebbe una sconfitta per tutti, musulmani, cristiani ed ebrei insieme.
Un attacco premeditato, il saccheggio selvaggio, massacri e una parziale distruzione della città sul Bosforo: la prima "caduta di Costantinopoli" non avvenne nel 1453 per mano ottomana, come generalmente si ritiene, ma nel 1204 ad opera dei latini, ossia veneziani e milites in gran parte francesi. È la storia raccontata in questo volume: nota come quarta crociata, la spedizione promossa da Innocenzo III puntava ufficialmente alla riconquista di Gerusalemme, ma finí per prendere la Nuova Roma, greca e cristiana. La storiografia si è interrogata sull'episodio con esiti differenti.I bizantinisti hanno generalmente considerato la presa del 1204 come un atto deliberato ai danni di Costantinopoli, mentre gli studiosi della crociata sono stati piú cauti, fino a sposare il punto di vista dei protagonisti: come il cronista Goffredo di Villehardouin, il quale presenta una concatenazione di incidenti casuali che avrebbero condotto al sacco della città. Alla luce delle numerose fonti dell'epoca, il libro restituisce un quadro preciso della vicenda e non esita a chiamare in causa volontà e comportamenti sinora occultati da una storiografia a tratti compiacente.
Destinati a segnare le sorti del proprio tempo, gli Ordini militari compaiono in Terra Santa nel XII secolo, per difendere i possedimenti dei latini durante le crociate e assistere i pellegrini. Tra le formazioni principali spiccano i cavalieri del Tempio, meglio noti come templari, i cavalieri di san Giovanni detti anche ospitalieri e i cavalieri teutonici. Ma perché nacquero e come acquisirono potere e ricchezza? In parte monaci e in parte guerrieri, questi milites Christi sconvolsero l'ordinamento etico-morale della Cristianità latina, rappresentando una straordinaria novità militare per una società, come quella medievale, che in nome della Guerra Santa seppe riunire uomini di preghiera e uomini d'armi. Questo libro indaga la storia, la struttura e la formazione dei principali Ordini religioso-militari, confrontando sistemi di potere, missioni e costumi, e restituendo, al di là delle leggende e delle fantasie popolari, la vera storia delle armate di Dio.
Il Partenone, il più celebrato dei templi greci, costruito sull’Acropoli nel V secolo a.C. in onore di Atena, custodiva una statua colossale della dea in oro e avorio, simbolo dell’egemonia della città sull’Egeo. Ma quanto costò alle casse pubbliche un’opera del genere? Un’ipotesi è che tempio e statua richiedessero 9.000.000 di dracme d’argento. Era quanto occorreva per retribuire una giornata di lavoro di 9 milioni di operai specializzati, o quanto bastava per allestire una flotta imperiale di 1500 triremi.
La spesa enorme fece scandalo e innescò una polemica su costi e benefici. Con l’ispiratore del progetto, il grande Pericle, finì sotto accusa la gestione democratica di Atene. Eppure, nel parossismo della vicenda, si nascondeva una verità scomoda: la complicità dell’arte con uno degli aspetti più inesplorati del mondo greco, quello economico-materiale.
Aprendo questo libro il lettore ripercorrerà le tappe di un percorso nell’arte attraverso i retroscena economici dei meccanismi di produzione. Avrà l’impressione di scoprire relazioni pericolose, perché, a partire dall’Acropoli di Atene, dietro l’esperienza della perfezione si cela una delle piú seducenti forme assunte dal denaro nel corso dei secoli: quella dell’arte.
Nel lessico politico e giornalistico attuale l'espressione "guelfi e ghibellini" è utilizzata per indicare una contrapposizione violenta e insanabile tra chi professa idee diverse. Alimentato da una rete di rimandi letterari che comprende la vita di Dante e la tragedia di Romeo e Giulietta, il riferimento dovrebbe essere alle parti che a cominciare dal XIII secolo divisero l'Italia comunale tra fautori della Chiesa e sostenitori dell'Impero e si batterono per la supremazia sulla penisola. Era davvero così? I termini "guelfi" e "ghibellini" rimandavano a due fazioni coerenti, ideologicamente connotate e contrapposte o erano piuttosto casacche da indossare e togliere a seconda delle convenienze del momento? Una serrata indagine sulle fonti dell'epoca fornisce un ritratto dell'Italia politica del Duecento molto diverso da quello tracciato abitualmente.
Idolatra! Con quest'accusa l'infedele può diventare il nemico. Chi difende l'unico dio indica la colpa del proprio avversario: tu adori falsi dèi! In nome di questo peccato si scatenano guerre, vengono anneriti i dipinti, colpite le statue; le rovine di civiltà sepolte vengono distrutte, colpevoli di portare le tracce di idoli fasulli. L'accusa di idolatria è stata usata contro i pagani ma anche nei confronti di ebrei, cristiani o musulmani. È antica quanto il monoteismo eppure non è scomparsa. Questo libro ne ripercorre la storia: dalle prime attestazioni ebraiche, ai padri della chiesa, fino all'avvento dell'Islam; poi il Nuovo Mondo e i suoi simulacri, lo scontro tra protestanti e cattolici, e infine il Settecento dei lumi, quando l'idolatria smise di essere uno strumento per giudicare altre religioni. Almeno per un certo tempo: perché gli anni a noi più vicini hanno dimostrato che gli dèi son ben più tenaci di quello che molti storici avevano supposto. E qualcuno ne ha ancora paura.
Le spedizioni che tra Cinque e Seicento presero via in Ungheria contro i Turchi costarono la vita a Giovan Francesco Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII. Tre campagne militari a sostegno dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo porteranno gli eserciti pontifici dalla gloria alla ritirata tra la neve.
L’attenzione dell’autore, che ha riconsiderato l’intera vicenda alla luce di nuovi dati emersi tra le fonti vaticane, si ferma alle poche operazioni condotte sul campo: la vittoriosa presa di Strigonia nel 1595; l’inconcludente assedio di Giavarino del 1597; la durissima campagna sotto Canisa nel 1601. Per il Papa e la sua segreteria prendeva forma l’antico sogno crociato ma con nuovi obiettivi: non piú quello, irraggiungibile, di riconquistare Gerusalemme, ma quello di fermare l’avanzata turca e contrattaccare puntando direttamente a Costantinopoli, capitale dell’impero del Sultano dal 1453.
All'inizio dell'Età moderna, l'Impero ottomano si affaccia sul Mediterraneo con l'ambizione di dominare sull'Asia e sull'Europa. La "seconda Roma", Istanbul, disposta su due continenti, incarna il sogno universale dei cesari che i sultani ereditano per diritto di conquista. Ma dalle fredde pianure percorse dai grandi fiumi, tra il Baltico e il Mar Nero, si levò la voce di una "terza Roma": Mosca. E con essa, di una nuova potenza capace di incombere su Oriente e Occidente: l'Impero degli Zar. Aveva inizio una lunga lotta euroasiatica per il controllo dei grandi spazi: aveva inizio il "grande gioco". Questo libro ripercorre la storia dello scontro frontale tra il Sultano e lo Zar, tra un cristianesimo imperiale e un Islam sultaniale. Un confronto, quello tra Russia e Turchia, che continua ancora ed è la chiave per comprendere cosa sta avvenendo oggi tra il Vicino e il Medio Oriente.
Il 18 agosto 1572 si celebrò a Parigi il matrimonio tra Margherita di Valois e Enrico di Borbone, che avrebbe dovuto segnare la riconciliazione tra cattolici e protestanti dopo una lunga guerra civile. Cinque giorni dopo, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, i capi militari dei protestanti furono uccisi per ordine del re. Nelle ore successive bande armate uccisero centinaia di ugonotti parigini, accanendosi su donne, vecchi e bambini, in un delirio di sangue che trasformò Parigi in un carnaio. Il libro analizza in tutte le sue sfaccettature questo evento apparentemente irrazionale, ma in realtà frutto di una devastante miscela di crisi politica e conflitto religioso, esaminando il ruolo dei vari attori: il re Carlo IX, la regina madre Caterina de' Medici, il papato, la Spagna, i gruppi di cattolici militanti parigini. Ne risulta una innovativa lettura della notte di San Bartolomeo come evento centrale nella storia dell'Europa del Cinquecento e nell'affermazione dell'assolutismo del potere politico.
Scorre molto sangue la notte del 2 gennaio 1547 quando, nel totale fallimento della congiura dei Fieschi, la morte stronca la giovinezza di Giannettino Doria e quella di Gian Luigi, l'erede della nobile famiglia che l'ha promossa. Sarà inesorabile Andrea Doria, il vecchio guerriero d'antica stirpe genovese, che dal 1528 è il Capitano generale della flotta imperiale nel Mediterraneo e nell'Adriatico. E inesorabili saranno l'Impero e la Repubblica verso chi si è reso colpevole del reato di tradimento contro il suo signore e contro la sua patria. Si inscrive nel nome dei Doria e dei Fieschi e si compie sul palcoscenico genovese l'atto che, incidendo profondamente nel cuore del grande scontro tra l'Impero spagnolo e la Corona francese, diventerà fin da subito un evento memorabile.
Ambrogio è, con Gerolamo e Agostino, il fondatore della Chiesa latina emersa, dopo Costantino, dal buio e dal sangue dell'era delle persecuzioni, assurta poi, con Teodosio al rango di unica religione ammessa nell'Impero. Arrivato a Milano con un prestigioso incarico di governo - secondo la tradizione, elevato a furor di popolo alla cattedra episcopale - trasferì nella sua funzione di vescovo il santo orgoglio che gli derivava dall'appartenere alla più alta nobiltà dell'Urbe e impiantò con forza sul tronco dell'Impero, al posto della pax deorum che lo avrebbe eternamente protetto, la croce del Cristo. Fu inflessibile nel combattere eretici, ebrei e pagani; Impose che l'ara della vittoria fosse tolta dall'aula senatoria; umiliò perfino il grande Teodosio ricordandogli che anche l'imperatore era membro della Chiesa ma non aveva il diritto né di guidarla, né di controllarla. Senza il fondamento del suo pensiero, forse, mai si sarebbe sviluppata una teoria egemonica del papato sulla Chiesa. Leggendo di lui, a volte ci si domanda dove fosse quella carità sulla quale peraltro ha saputo scrivere pagine bellissime. La sua grandezza fu davvero sublime e tormentosa.
Nel Novecento alle speranze di una società migliore si sono spesso contrapposte le politiche dell'esclusione, l'annientamento fisico delle minoranze, le violenze di Stato, la condizione marginale dei tanti apolidi in fuga. La storia dei Lager e dei Gulag, la presenza dei luoghi di internamento e le vicende degli spostamenti forzati di popolazioni, si incrociano con la crisi delle società liberali e con la affermazione dei poteri totalitari. Deportare, concentrare, annientare non sono patologie del passato ma il lato oscuro dei tempi correnti, quelli che si vorrebbero governati dal diritto, ma che rivelano ancora la tentazione di cancellare quella umanità considerata un'intollerabile "eccedenza" rispetto agli interessi delle maggioranze silenziose e consenzienti.
La battaglia di Benevento del 1266 è comunemente presentata come una sorta di malvagio scherzo del destino ai danni di Manfredi, il figlio dell'imperatore Federico II, che venne sconfitto dalle forze di Carlo d'Angiò, al quale riuscì in tal modo di impadronirsi del Regno di Sicilia. A partire dalla narrazione "guelfa" degli eventi, che spiegava la clamorosa quanto imprevista vittoria di Carlo con la sacralità della sua missione, voluta dal papa e benedetta da Dio, ha replicato una versione "ghibellina", appoggiata dall'autorità dantesca, con l'immagine del Manfredi "biondo, bello e di gentile aspetto", che vedeva nella corruzione e nel tradimento dei nobili il motivo della sconfitta dello svevo. Si tratta però di un'immagine deformata che queste pagine vogliono correggere, restituendo tutta la complessità di una vicenda impossibile da ridurre alle letture nazionaliste/regionaliste o clericali/anticlericali del secolo passato.
Il separatismo siciliano, di cui si intravedono le radici nei moti insurrezionali che nel corso dei secoli colpirono l'isola, ebbe vasta diffusione e inquietanti sviluppi tra il 1943 e il 1950. Alla vigilia dello sbarco alleato fu fondato il Comitato provvisorio per l'Indipendenza, sedicente portavoce delle aspirazioni dei siciliani, che avrebbe colmato il vuoto politico lasciato dal fascismo e permesso al movimento di proporsi come corrente di rinnovamento. Nel febbraio del 1944 la riconsegna dell'isola all'Italia da parte degli Alleati e la decisa risposta dello Stato alle istanze siciliane portarono a un inasprimento dello scontro fra il Regio Esercito e i "guerriglieri" indipendentisti. I rastrellamenti e le battaglie campali ridimensionarono l'eversione secessionista; fu intavolata una trattativa segreta fra lo Stato e i separatisti, che avrebbe portato alla concessione dell'autonomia siciliana. Negli anni successivi l'isola fu governata quasi ininterrottamente dalla Democrazia Cristiana, ma l'agognata crescita economica non ci fu. L'autonomia, associata non di rado al federalismo, è ancora oggi al centro di un ampio dibattito, in una fase storica caratterizzata da crescente sfiducia nei confronti dello Stato e dalla nascita di movimenti che rivendicano l'indipendenza. Come nel Nord Italia, anche in Sicilia iniziano a serpeggiare e a ridestarsi timide simpatie filo-separatiste.
I legami tra l'Europa e gli Stati Uniti sono antichi e complessi: dobbiamo molto a un paese che, non senza contraddizioni, ha inventato un modello di democrazia e un concetto nuovo delle libertà politiche e sociali, e ha partecipato generosamente a due guerre europee anche in nome di questi valori. Politica, letteratura, musica, cinema: un mondo vitale e attivo che continua a esercitare un fascino particolare che non può essere semplificato in adesione ideologica o in altrettanto semplice rifiuto politico. Evoluzione del capitalismo, situazione politica ed economica - dalla grande crisi del 1929 al New Deal di Roosevelt al maccartismo agli scandali bancari e finanziari alla presidenza Obama - questa "America" si ripropone come un rinnovato e più aperto modello di Stato sociale. Lucio Villari rilegge alcune pagine della storia degli Stati Uniti tra passato e presente, con l'intenzione di identificare alcuni nodi essenziali del suo formarsi come nazione, del suo appartenere alle radici culturali dell'Europa, ma anche del suo negarsi a esse rinnovandosi e inventandosi come un mondo nuovo. L'autore si sofferma sul rapporto tra l'Italia e gli Stati Uniti. Un'"America" vissuta come sogno, come terra promessa, con speranze talvolta infrante. Il "sogno americano" ha influenzato la nostra cultura, la letteratura, l'arte, l'economia, il costume.