Sul Monte Athos, orientativamente tra la seconda metà del 1200 e la seconda metà del 1300, si andò precisando quella specifica forma di ascesi nota come esicasmo. Il primo capitolo del volume è costituito da un'analisi per lo più storico-comparativa dell'esicasmo athonita fra XIII e XIV secolo (il referente principale essendo il sufismo islamico più o meno coevo). In tale periodo emerge, infatti, nella sua forma più elaborata, ciò che chiamiamo "tecnica psicofisica" connessa al "metodo di orazione esicasta". In questa sezione, lo studio si propone di puntualizzare il significato antropologico dei procedimenti esteriori coordinati alla ripetizione della formula di invocazione, procedimenti che, sebbene non essenzialmente costitutivi dell'esicasmo, sono da considerarsi tutt'altro che marginali. Nel secondo capitolo sono trattati alcuni temi connessi alla prassi ascetica in oggetto. Particolare attenzione è rivolta agli aspetti "iconografici" e alla questione del 'mundus imaginalis', le cui relazioni con l'attività ermeneutica e con il tema della "tradizione" risultano evidenti; a ciò si collega il problema dell'ermeneutica quale metodo storico-religioso suscettibile di trasformare la vita dello studioso e veicolo di un "ecumenismo dei contemplativi", eventualmente applicabile alle diverse tradizioni religiose.
Cristo lasciò personalmente e direttamente i tratti del proprio volto impressi su un panno. È questo l’affascinante e misterioso inizio che accomuna le icone Acheropite di Cristo. Immagini «non fatte da mano d’uomo», pressoché sconosciute al mondo occidentale, rappresentano invece il fondamento della ritrattistica dell’Oriente cristiano per quanto riguarda il volto di Gesù. Icone straordinarie che fondano la teologia e la storia dell’arte o piuttosto immagini inventate dalla Chiesa per legittimare il culto delle rappresentazioni sacre in un’epoca di violenti dibattiti come fu quella delle lotte iconoclaste?
Il libro di Emanuela Fogliadini indaga intorno a queste fondamentali questioni, con uno studio completo sugli Acheropiti di Cristo, di cui nessuno si era più fatto carico, in modo così sistematico, da oltre un secolo, dopo il monumentale lavoro di Ernst von Dobschütz. Una rigorosa analisi dei fondamenti teologici, accompagnata da un viaggio entusiasmante tra le avventure e i misteriosi intrecci di cui furono protagoniste queste sorprendenti icone, offre un quadro dettagliato sul tema e restituisce agli Acheropiti di Cristo il fondamento teologico-dogmatico di cui godono nell’ambito del cristianesimo ortodosso. Dalle pagine emerge il confronto tra le prospettive teologiche e artistiche di Oriente ed Occidente sugli Acheropiti di Cristo e, più in generale, sulle icone e la teologia tutta.
Il messaggio della Cappella Sistina
Sino ad oggi la Cappella Sistina è stata soprattutto studiata sotto il profilo stilistico e, sulla scorta dei lavori di restauro, sotto quello eminentemente tecnico. Questo volume mostra una nuova Sistina attraverso uno sguardo del tutto innovativo all’iconografia delle pareti laterali dipinte fra gli altri da Botticelli, Perugino, Signorelli e del lavoro michelangiolesco nella volta, nelle lunette e nella parete del Giudizio Universale. L’aspetto rivoluzionario del lavoro non consiste nel sovvertire giudizi storico-artistici o attribuzioni oramai del tutto assodati dalla critica, ma nel mostrare immagine per immagine, colore per colore la soggiacente struttura simbolica che ordina coerentemente l’intera opera. Questa struttura simbolica, un vero e proprio programma filosofico-teologico, anticipa e determina l’intera storia degli affreschi della Sistina, dagli artisti quattrocenteschi sino al lavoro di Michelangelo. Si tratta di un programma iconografico unitario formulato dai teologi di Sisto IV, in pieno Quattrocento, e poi seguito dallo stesso Michelangelo molti anni dopo. La pubblicazione è anche l’occasione per mostrare la Sistina con un’eccezionale abbondanza di particolari in modo che questo scrigno d’arte risulti "squadernato" di fronte agli occhi del lettore, ma anche "decodificato" nei significati e persino nell’uso dei colori di ciascuna scena.
In un giorno imprecisato tra la primavera e l'autunno del 1927, una mosca vola sul set di uno dei capolavori della storia del cinema, "La passione di Giovanna d'Arco" di Carl Theodor Dreyer, e si posa sul volto estatico della protagonista, l'attrice Renée Falconetti. Il regista non ferma le macchine e non taglia in montaggio l'inquadratura: accetta che il caso lasci per sempre una traccia nella sua opera. Da questa immagine anomala ha inizio un percorso che cerca di rispondere alle sfide lanciate alla riflessione estetica e filosofica dagli ultimi esiti delle pratiche artistiche. La prima parte è dedicata al cinema, un linguaggio in perpetuo equilibrio tra documento e finzione, e al suo continuo corpo a corpo con l'evento contingente. Per accogliere il caso occorre la tecnica. Ma la tecnica più efficace è paradossalmente quella che sa andare oltre se stessa per aprirsi all'occasione che ci viene misteriosamente donata: alla grazia. È proprio la dialettica tra questi due poli il tema che guida la rilettura dei due grandi dialoghi di Paul Valéry, "L'anima e la danza" e "Eupalinos o l'Architetto", una rilettura che passa anche attraverso un passo del "Parmenide" di Platone e un famoso testo del drammaturgo Heinrich von Kleist, "Sul teatro di marionette". Arriviamo così al traguardo delle arti contemporanee, in cui l'opera della contingenza diventa programmatica, con le poetiche di Marcel Duchamp, del compositore John Cage, del coreografo Mercé Cunningham.