A livello personale e collettivo non si fa altro che parlare del male. Ma per quanto faccia sempre notizia e stia sempre sotto i riflettori, dirne qualcosa di serio è davvero difficile. Più il male è posto all'attenzione e più sembra perdere di peso e consistenza, tanto siamo abituati alle sue overdose mediatiche e alle sue giustificazioni più o meno spicciole sempre a portata di mano. Quando invece la realtà scandalosa del male è indubitabile - il fatto stesso che si voglia e che si faccia contro gli altri. Di fronte a malvagità quotidiane ed epocali, alle roboanti promesse sociopolitiche come alle veloci rassicurazioni religiose, Gabriel Marcel mette in luce i paradossi di questo incessante discorso. Nell'abisso del male bisogna piuttosto scendere e sostare.
Il libro raccoglie due testi sui limiti e le ragioni dell'impegno politico di fronte a quello assoluto e trascendente rappresentato dalla fede. Il cristiano può - e in determinate circostanze, deve - accettare lo Stato, ma mai incondizionatamente, in quanto egli appartiene a uno Stato superiore e la sua libertà si fonda sull'indipendenza da qualsiasi ideologia o peculiare forma di governo. Prendendo le distanze dalla tentazione di ogni "Cristianesimo sociale", Barth ribadisce la necessità di una formazione politica della coscienza, unita al dovere del credente di lottare per la salvezza dell'umanità, interrogando sempre il rapporto perennemente in tensione tra fede e potere politico. La riflessione su questi temi trova forma nel commento al capitolo 13 della «Lettera ai Romani» di san Paolo (1919, poi rielaborato nel 1922) e nella conferenza del 1933, in cui l'autore si oppone radicalmente alla nascita in Germania di una Chiesa di regime sottomessa al culto del Führer, e afferma che è venuto il tempo di una "decisione politica" fondata sulla libertà del Vangelo.
«I Vangeli ci hanno tramandato due formule della Preghiera del Signore: la più lunga - e senza dubbio la più esplicita - è quella di san Matteo, a cui la Chiesa è rimasta tradizionalmente fedele. L'altra, più breve, conservata dall'evangelista della preghiera, san Luca, riferisce il probabile contesto del Pater. Secondo i padri Abel e Lebreton, Gesù l'avrebbe insegnato ai suoi discepoli, sul versante orientale del monte degli Ulivi. I discepoli del Precursore - Giovanni e Pietro - possedevano già una preghiera di gruppo. Non appena però la comunità apostolica si forma e i Dodici prendono coscienza della loro unità, essi richiedono al Maestro una preghiera che saldi la loro comunione con lui e tra loro. E Gesù insegna il Pater: "Direte: Padre nostro". Sin dall'origine della Chiesa il Pater si rivela come la preghiera del cristiano: come la presenza del Cristo invisibile in mezzo alle comunità che si vanno costituendo in Palestina, in Siria e nell'intero bacino mediterraneo». Con queste parole Adalbert Hamman, O.F.M., introduce questo volume in cui i Padri della Chiesa raccontano, spiegano e commentano il senso della principale preghiera cristiana.