Fino al XV secolo cristianesimo e islam hanno convissuto nella vasta area dell'Oriente che va dall'odierna Turchia fino ai confini dell'India e della Cina. Una coesistenza che inizialmente non risultò né problematica né violenta, anzi: nei primi secoli dell'era islamica, ad esempio, gli intellettuali cristiani erano consulenti alla corte del califfo di Baghdad; esistevano sedi episcopali negli attuali Yemen e Afghanistan; quattro vescovi amministravano altrettante diocesi in Arabia; nel 1050 l'Asia Minore aveva 373 sedi vescovili. "Fino al 1250 - scrive Jenkins - si poteva pensare a un mondo cristiano che si estendeva a est da Costantinopoli a Samarcanda, e a sud da Alessandria d'Egitto quasi all'equatore". Il cristianesimo non è mai stato una faccenda solo "europea". Fin dai suoi esordi si è segnalato come una religione tricontinentale, fiorente inizialmente in Asia, quindi in espansione in Africa, soprattutto nel Nord, e infine esportata in Europa. Le vicende della storia hanno poi visto un progressivo sgretolamento della presenza cristiana in Medio Oriente, fino alle selvagge persecuzioni attuali dell'Isis. Capire perché qui le chiese rischiano la scomparsa, sgomberare il campo da facili stereotipi, rivalutare una storia perduta, è quanto ci propone questo libro di Philip Jenkins. Un saggio che è il racconto di una civiltà pressoché sconosciuta.
A conclusione di un dibattito fra lavoratori rurali, sindacalisti, vescovi e attivisti cattolici e luterani, nasce quel giorno il Movimento dei senza terra (Mst), un'organizzazione "che rivendica l'autonomia da partiti, chiese, stati e governi. E sostiene l'alleanza di classe tra contadini e lavoratori delle città" (Frei Betto). In breve tempo s'imporrà come uno dei più decisivi momenti sociali dell'America Latina e non solo. L'Mst è anime di Via Campesina e la sua consulenza è richiesta ovunque ci siano lotte contadine e riflessioni sul futuro della terra. Oggi il suo leader, João Pedro Stédile è un interlocutore sulle questioni agrarie e ambientali anche per la Santa Sede. Questo libro ci racconta una storia che è anche politica e culturale: le "invasioni" di latifondi, con la costituzione di "accampamenti", disegnano un modello alternativo di società. Una lotta per la dignità e la vita che conta anche un gran numero di martiri. Prefazione di Frei Betto.
Incontri con tre donne, simbolo di coraggio e libertà. Di generazioni diverse, di paesi diversi (Iran, Sudan, Afghanistan), sono accomunate dalla medesima fede, dalla stessa grinta e da una sola sfida: fare della religione islamica un posto dove essere donne e vivere in democrazia sia una cosa normale. Shirin Ebadì, iraniana, avvocato e attivista dei diritti umani, è Nobel per la Pace 2003; vive in esilio. Fatima Ahmed Ibrahim, sudanese, è stata la prima donna eletta in un parlamento africano e presidente della combattiva "Unione delle donne" del suo paese. Malalai Joya, afgana, la più giovane delle tre, è stata parlamentare denunciando i criminali di guerra che le sedevano accanto. Oggi chiede la fine dell'occupazione straniera nel suo paese.