In questa brillante ricostruzione della storia della civiltà, G.K. Chesterton sfida le concezioni materialistiche ed evoluzioniste del suo tempo, in particolare quelle di H.G. Wells, per affermare l'unicità dell'essere umano quale privilegiato destinatario.
A Chesterton Shakespeare piaceva da matti: ne traeva insegnamento per la sua vita interiore e al tempo stesso autentico piacere e godimento, non solo per gli straordinari concetti da lui espressi, per la profondità dei suoi drammi, per la complessità delle psicologie dei personaggi, ma anche per l’originalità di talune immagini visive, per la creatività nell’uso del linguaggio, per il semplice suono di certi suoi versi, per la straordinaria capacità di raccontare l’uomo all’uomo senza infingimenti. Nel presente volume sono raccolti – grazie a Valentina Vetri, docente di Cultura e Civiltà inglese presso l’Università CIELS di Bologna – proprio gli scritti in cui Chesterton spiega e interpreta meglio alcune delle opere di Shakespeare più note, in modo che siano perfettamente comprensibili a tutti, dandone letture tanto semplici quanto originali e profonde, che ci spingeranno con rinnovato gusto sulle pagine del “grande Bardo”.
Il lettore ha tra le mani il frutto delle conversazioni svolte da Chesterton sul programma radiofonico della BBC tra l'autunno del 1932 e la primavera del 1936. È corretto parlare di frutto perché il volume non raccoglie solo le trascrizioni delle trasmissioni radiofoniche pubblicate sul settimanale della BBC, The Listener (rimasto in vita sino al 1991), ma anche di ciò che esse generarono e cioè le lettere e soprattutto una partecipazione viva dei lettori-ascoltatori, le risposte di Gilbert e i contributi polemici originati dalle trasmissioni di Chesterton. È un errore considerarlo un polemista. Era in realtà un amante della Verità in ogni sua possibile veste e declinazione. Questa raccolta lo dimostra. Al di là dei fuochi d'artificio che legittimamente si concedeva, dell'umorismo piacevole e frizzante che praticava con larghezza, Gilbert aveva l'"arma segreta": entrava davvero nelle case e soprattutto nei cuori delle persone. Introduzione di Marco Sermarini.
Il paradosso della concorrenza, scrive Luigi Einaudi nel 1942, consiste nel fatto che essa non sopravvive alla sua esclusiva dominazione. Gli esseri umani, per loro natura, non desiderano né riescono a competere incessantemente sul mercato; cosicché la libertà economica, assai desiderabile e auspicabile quale regola generale, deve trovare dei limiti, delle eccezioni – nelle sue parole, delle “oasi franche”. A distanza di settant’anni il messaggio di Einaudi, uno dei pochi liberali di caratura internazionale che l’Italia possa vantare, ci giunge immutato nella sua freschezza. Convinto che la società viva e prosperi solo se agli individui vengono garantite autonomia d’azione e libertà di scelta degli stili di vita, al riparo dell’invadenza dei poteri pubblici e degli interessi settoriali, Einaudi crede però che la concorrenza vada inserita in un reticolo istituzionale ben congegnato, capace di favorire il più ampio pluralismo ma anche la condivisione di un nocciolo di valori e tradizioni comuni. Nei saggi raccolti in questo volume, alcuni pressoché sconosciuti al lettore contemporaneo, troviamo insomma un Einaudi che ci ammonisce a non dimenticare che i mercati, per funzionare al meglio, hanno bisogno di premesse e di vincoli extra-economici. Un insegnamento che la crisi perdurante rende drammaticamente attuale.
Una breve storia d'Inghilterra non è un testo per specialisti ma l'intervento di uno dei più importanti intellettuali del tempo che sente il bisogno di scrivere per illuminare il lato nascosto, dimenticato della storia del suo Paese. Due i bersagli polemici scelti: il primo si connette alla falsa origine anglosassone del popolo inglese sovrapposta dagli storici dell'Ottocento, con un'abile operazione culturale, al passato romano e cristiano, il secondo concerne il controverso ruolo assunto dall'aristocrazia nel Settecento; se per un verso fu la protagonista della definitiva affermazione del parlamento e della costruzione dell'impero, per un altro legò sempre più le sorti del Paese alla Germania contribuendo al definitivo distacco dell'Inghilterra dalle sue origini cristiane.
Gilbert K. Chesterton dedicò questa importante biografia letteraria finora inedita in Italia a Robert Louis Stevenson, l'autore de "L'isola del tesoro" e de "Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde". Da questo saggio, Stevenson emerge come un testimone inconsapevole di verità, "un pagano altamente onorevole, responsabile e valoroso, in un mondo traboccante di pagani che erano per la maggior parte molto meno cavalieri e onorevoli". Di più, Chesterton lo considera alla stregua di un teologo cristiano che restituisce nei suoi personaggi votati all'avventura l'inquietudine della caduta e la moralità della ricerca di senso in un mondo che attende di essere esplorato. L'intera sua opera appare a Chesterton una difesa della possibilità di essere felici, e una risposta alla domanda di felicità dell'uomo, che può essere assolta solo ritornando piccoli e capaci di stupore. Il brusco ritorno alla semplicità dell'infanzia, come espressione del profondo desiderio di raggiungere la felicità, è un fatto ricorrente in tutta la storia umana. E in questo sta, per Chesterton, "l'importanza del posto che Stevenson occupa nella storia letteraria".
A distanza di oltre mezzo secolo torna sul mercato italiano il capolavoro di G.K. Chesterton "L'uomo eterno", una intensa esplorazione della storia umana in cui l'autore, opponendosi al dilagante darwinismo sociale, nega la linearità dello sviluppo dalla barbarie alla civiltà e riafferma l'unicità e la cesura rappresentate nella storia dal messaggio cristiano.
"Il non agire secondo ragione è alieno da Dio" - è il messaggio dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425), che papa Benedetto XVI ha inteso raccogliere nella sua Lectio magistralis all'Università di Ratisbona il 12 settembre 2006. Questo il nodo della contesa, ma anche lo stimolo per un dialogo aperto tra cristiani e mussulmani. È quanto accade in queste dotte, ma al tempo stesso ironiche, conversazioni tra Manuele II e un "muteriz", un sapiente della legge islamica, impegnati in apologetiche confutazioni delle proprie fedi con spirito più sportivo che belligerante. Sarà anche per questo che, a distanza di così tanti secoli, i Dialoghi continuano a interrogarci e a provocare le nostre culture, combattute tra una razionale ricerca della Verità e una ragionevole aspirazione alla pace e alla comprensione reciproca.