Marco Agrippa fu la personificazione dell'espressione "braccio destro". Come uomo di fiducia di Augusto condusse guerre, pacificò province, adornò Roma e giocò un ruolo cruciale nello stabilire la Pax Romana dei successivi due secoli: tutto ciò nella consapevolezza che non avrebbe mai governato di persona. Per secoli gli storici si sono interrogati sulla sua apparente mancanza di ambizione, sul rapporto di amicizia che dalla giovinezza lo legò a Caio Ottavio, nipote di Cesare.
Già dalla lotta contro i cesaricidi Agrippa si rivelò necessario per la vendetta di Ottaviano, acquisendo la reputazione di ottimo ammiraglio nella lotta contro Sesto Pompeo e nell'epica battaglia di Azio che segnò la fine di Marco Antonio e Cleopatra nel 31 a. C.
Condusse le legioni nel Bosforo Cimmerio, in Gallia e in Illiria. Sempre in Gallia Agrippa estese la rete viaria abbozzata da Cesare, in Giudea consolidò i rapporti con Erode e stabilizzò la regione. Si occupò del restauro di Roma e di vitali opere pubbliche, fino alla costruzione di un monumento simbolo come il Pantheon.
Agrippa fu insomma un alter ego dell'imperatore, che gli diede in sposa la figlia Giulia e adottò i tre figli della coppia, sperando di farne eredi al trono. La morte precoce di Agrippa il 12 d.C. privò Augusto del suo miglior collaboratore, ma il sangue di Agrippa continuò a scorrere nelle vene di esponenti della dinastia più ambizioni, come Caligola e Nerone.
Nell'anno 451 d.C. Attila, con una forza enorme composta da unni, alleati e vassalli del suo già vasto impero, era penetrato a ovest attraverso la Gallia, ancora nominalmente parte dell'Impero Romano d'Occidente. Dopo avere preso d'assedio Orleans, solo un paio di giorni di marcia lo separavano dall'estendere il suo dominio dalla steppa eurasiatica fino all'Atlantico. Ma prima che ciò potesse avvenire, il 20 giugno 451 si svolse la battaglia dei campi Catalaunici, in una pianura della Gallia nei pressi dell'odierna Chàlons-en-Champagne. Nello scontro, le truppe del generale romano Ezio, reclutate soprattutto tra i barbari e affiancate dagli alleati visigoti di Teodorico I, prevalsero sugli unni di Attila. Ma chi era Ezio? Chi era l'uomo che salvò l'Europa occidentale dal giogo degli unni? Mentre Attila è familiare a tutti, la vicenda del generale romano è rimasta relativamente oscura. Ezio è una delle figure più importanti della storia del tardo Impero Romano e le sue azioni hanno contribuito a mantenere l'integrità dell'Occidente negli anni del declino. Prima della sua carriera ai vertici dell'esercito romano, fu un semplice ostaggio tra i goti di Alarico e poi con Rua, re degli unni. La sua permanenza presso questi due popoli contribuì a dargli una visione senza precedenti delle tecniche e delle strategie militari di questi 'barbari'. Pagine di storia in uno stile preciso e accattivante pongono Flavio Ezio in relazione con gli altri grandi protagonisti di un'epoca che trasfigura nella leggenda: insieme a Ezio e Attila, Alarico, Valentiniano III, Galla Placidia, Genserico e papa Leone I. In un vasto scenario che guarda da Aquileia alla Gallia, dalla Spagna a Cartagine, da Ravenna a Costantinopoli, i decenni fondamentali del passaggio tra tarda antichità e medioevo trovano in questo libro una narrazione in grado di misurarsi con eventi complessi, intrighi oscuri e lacune storiografiche, riuscendo a trasmettere il fascino di un'epoca travagliata e del suo grande protagonista: Flavio Ezio, terrore dei barbari e baluardo di Roma.
Un'indagine militare in grado di rileggere il testo sacro più famoso al mondo in chiave militare e di stabilire, in forma comparativa, dei paragoni folgoranti tra le operazioni di spionaggio o di guerriglia in atto oggi nella guerra tra Israeliani e Palestinesi e le fasi più concitate del racconto biblico.
Il conflitto bosniaco del 1992-1995 è stato finora ampiamente travisato in Occidente. In questo libro, John R. Schindler riesamina la guerra in Bosnia, chiarendo il suo ruolo centrale nello sviluppo del terrorismo radicale islamico. La tesi dell'autore è che la Bosnia negli anni Novanta ha svolto per al-Qa'ida lo stesso ruolo di quello svolto dall'Afghanistan negli anni Ottanta, offrendo un campo di battaglia dove i mujaheddin potessero imparare a condurre la guerra santa. Il libro, il cui merito è anche quello di inquadrare la vicenda nella complessa storia dell'intero Novecento bosniaco, rappresenta finalmente una tappa, avvincente e meticolosamente documentata, per l'apprendimento delle lezioni impartite dalla Bosnia, che non può che essere d'aiuto nella lotta perdurante contro gli estremisti musulmani e la loro jihad globale.
Questo libro è l'edizione riveduta e aggiornata di un saggio di grande successo in cui Benny Morris analizza lo sviluppo delle relazioni, e soprattutto dei contrasti, tra Israele e gli Stati arabi negli anni cruciali che vanno dal 1949 al 1956, soffermandosi in particolare sulle infiltrazioni arabe in territorio israeliano e sulle conseguenti rappresaglie. Le incursioni di profughi e di commando palestinesi, insieme agli attacchi transfrontalieri di forze irregolati controllate dagli egiziani, furono gli elementi principali di un fenomeno che caratterizzò questo periodo e una delle cause dell'invasione del Sinai e della Striscia di Gaza da parte di Gerusalemme nell'ottobre-novembre del 1956. Considerato uno studio pionieristico, qui ampliato sulla base di nuovo materiale (inclusi documenti desecretati delle IDF, le Forze di difesa israeliane), il volume offre importanti contributi alla comprensione dell'attuale situazione in Medio Oriente, con uno sguardo rivolto alle prospettive di una pace duratura in quei territori.
Fra il 1914 e il 1918 nel relativamente piccolo spazio mediterraneo si affrontarono le Marine inglese, francese, italiana, russa, da una parte, alle quali poi si aggiunsero quella giapponese e americana, e tedesca, austro-ungarica e turca, dall'altra. A quel mosaico di settori, campagne e operazioni, apparentemente slegati l'uno dall'altro, è corrisposta nella storiografi a navale una grandissima quantità di studi, narrazioni e memorie, spesso assai valide, ma altrettanto scollegate, non sorrette da quella visione d'insieme che Halpern riesce, invece, per la prima volta a dare del teatro mediterraneo, partendo da un'imponente opera di ricerca incrociata in tutti gli archivi, mai prima svolta. Ciò consente al lettore, da un lato, di farsi un'idea più precisa sull'importanza del Mediterraneo nel quadro della guerra marittima e, in generale, del Primo conflitto mondiale, dall'altro, di apprezzare meglio il ruolo e il peso effettivamente assunti dai singoli settori e dalle singole Marine. Connessa è l'indagine che l'autore ha condotto su ambiti, poco o punto esplorati, come gli orientamenti politico-militari degli alti comandi navali, i piani di guerra e la stessa genesi delle operazioni navali nonché i rapporti fra le Marine all'interno dei rispettivi campi di lotta, i reciproci giudizi e le relazioni fra queste, la politica e le altre forze armate.
Sebbene si tenda a pensare all'Impero romano come a un'organizzazione principalmente terrestre, realizzata con la forza delle straordinarie legioni della fanteria, in realtà esso fu anche una potenza marittima, paragonabile all'Impero britannico del XVIII secolo. In termini puramente numerici, la marina di Roma fu la forza navale più imponente che sia mai esistita. Le flotte romane difesero le comunicazioni e i traffici commerciali, senza i quali non vi sarebbe stato sviluppo. Grazie alle sue navi, la "caput mundi" poté sfidare in combattimento nemici irraggiungibili ed espandere il suo potere in terre fino ad allora inaccessibili, diventando una potenza senza uguali nel Mediterraneo: possedeva basi nell'Europa occidentale, nell'Africa settentrionale e nel Medio Oriente, e nel momento di massimo splendore contava decine di migliaia di marinai, fanti e artigiani che lavoravano al servizio di una flotta numericamente superiore a qualsiasi forza navale moderna. Questo saggio segue la cronologia della nascita, della crescita e del declino delle forze navali di Roma e analizza il ruolo della guerra sul mare nella costruzione del primo grande impero europeo.
Dalle pagine del diario personale dell'ammiraglio von Koudelka, la ricostruzione della quarantennale carriera di uno dei più prestigiosi e influenti uomini della marina da guerra austro-ungarica a cavallo tra i due secoli. Pagine inedite della Grande Guerra nell'Alto Adriatico e della difesa costiera nel golfo di Trieste.
La grande guerra nel Mediterraneo, la cui edizione originale in lingua inglese è apparsa nel 1987, è il primo lavoro di Paul Halpern ad essere presentato al lettore italiano. Fra il 1914 e il 1918 nel relativamente piccolo spazio mediterraneo si affrontarono le Marine inglese, francese, italiana, russa, da una parte, alle quali poi si aggiunsero quella giapponese e americana, e tedesca, austro-ungarica e turca, dall'altra. A quel mosaico di settori, campagne e operazioni, apparentemente slegati l'uno dall'altro, è corrisposta nella storiografi a navale una grandissima quantità di studi, narrazioni e memorie, spesso assai valide, ma altrettanto scollegate, non sorrette da quella visione d'insieme che Halpern riesce, invece, per la prima volta a dare del teatro mediterraneo, partendo da un'imponente opera di ricerca incrociata in tutti gli archivi, mai prima svolta. Ciò consente al lettore, da un lato, di farsi un'idea più precisa sull'importanza del Mediterraneo nel quadro della guerra marittima e, in generale, del Primo conflitto mondiale, dall'altro, di apprezzare meglio il ruolo e il peso effettivamente assunti dai singoli settori e dalle singole Marine. Connessa è l'indagine che l'autore ha condotto su ambiti, poco o punto esplorati, come gli orientamenti politico-militari degli alti comandi navali, i piani di guerra e la stessa genesi delle operazioni navali nonché i rapporti fra le Marine all'interno dei rispettivi campi di lotta.
La Bosnia del conflitto balcanico costituì per i mujahidin un campo di battaglia dove imparare a combattere la guerra santa. Schindler tratteggia inoltre la collaborazione coi terroristi da parte del governo americano, che si trovò così a supportare un gruppo di cui erano parte anche Khalid Sheikh Muhammad (mente dell'11 settembre) e due dei kamikaze dell'attentato alle Torri Gemelle.
Dal combattimento dal punto di vista del soldato, fino alle ampie strutture sociali ed economiche che hanno influito sulle campagne e sulle guerre, tutti gli aspetti della guerra nell'antica Grecia sono stati studiati con molta maggiore frequenza, negli ultimi decenni, di quanto non sia mai stato fatto prima. Questo libro spazia dai dettagli concreti sul modo di effettuare un'incursione, ai problemi molto più teorici delle cause, dei costi e delle conseguenze della guerra nella Grecia arcaica e classica. Sostiene che le fonti greche forniscono un quadro molto selettivo e idealizzato, troppo facilmente accettato dalla maggior parte degli studiosi moderni, e che uno studio più critico delle prove porta a conclusioni radicalmente diverse in merito al modo di fare la guerra da parte dei greci.
Questo libro tenta di esaminare "la realtà di Canne" affrontata dai singoli soldati che vi parteciparono, senza perdere di vista "il quadro generale" della battaglia nel suo complesso. Comincia, di conseguenza, a prendere in esame la battaglia sulla base dei criteri convenzionali come il significato strategico, la grande tattica, la topografia e le forze in campo. Fatto questo, compie una digressione per studiare gli eserciti contrapposti, quello romano e quello cartaginese, compito complicato ma necessario, allo scopo di comprendere come essi si batterono a Can ne e perché lo fecero. Grazie ad un quadro ragionevolmente completo delle forze contrapposte, diventa possibile mettere a fuoco in modo specifico l'azione stessa, prima studiando la parte svolta dai comandanti contrapposti, allo scopo di capire fino a che punto ed in quale modo essi abbiano influenzato l'esito dello scontro. Dopo di che, il "modello Keegan" de "Il volto della battaglia", può venire usato per analizzare la battaglia, nel tentativo di individuare l'esperienza dei singoli combattenti a Canne.
Questo libro tenta di esaminare "la realtà di Canne" affrontata dai singoli soldati che vi parteciparono, senza perdere di vista "il quadro generale" della battaglia nel suo complesso. Comincia, di conseguenza, a prendere in esame la battaglia sulla base dei criteri convenzionali come il significato strategico, la grande tattica, la topografia e le forze in campo. Fatto questo, compie una digressione per studiare gli eserciti contrapposti, quello romano e quello cartaginese, compito complicato ma necessario, allo scopo di comprendere come essi si batterono a Can ne e perché lo fecero. Grazie ad un quadro ragionevolmente completo delle forze contrapposte, diventa possibile mettere a fuoco in modo specifico l'azione stessa, prima studiando la parte svolta dai comandanti contrapposti, allo scopo di capire fino a che punto ed in quale modo essi abbiano influenzato l'esito dello scontro. Dopo di che, il "modello Keegan" de "Il volto della battaglia", può venire usato per analizzare la battaglia, nel tentativo di individuare l'esperienza dei singoli combattenti a Canne.
Rose Mary Sheldon sottolinea l'importanza dello spionaggio e ricostruisce il ruolo delle operazioni speciali nella storia ebraica, dall'esodo dall'Egitto alla rivolta di Bar Kokeba. In molti si sono contesi il Vicino Oriente per millenni, e buona parte del confronto è consistito non già in grandi battaglie campali, bensì in azioni di guerriglia su piccola scala, e in conflitti a bassa intensità. Gli Ebrei combatterono da guerrieri quando, ancora popolo nomade nel deserto, cercarono di conquistare la terra di Canaan. Più tardi, vittime dell'occupazione straniera, combatterono tre guerre di liberazione contro Greci e Romani, ricorrendo, ancora una volta, agli strumenti della guerriglia e alle tattiche terroristiche, e organizzandosi nella clandestinità. Questo testo di Rose Mary Sheldon è la prima opera dedicata specificamente alle guerre dell'antico Vicino Oriente e al ruolo della raccolta di informazioni in Terra Santa. Il libro prende in esame anche la storia dell'Ultima Cena, il processo a Gesù al cospetto di Ponzio Pilato, l'attacco a Masada, la rivolta dei Maccabei e le battaglie di Beth Horon, Emmaus e Beth Zur.
Alla fine del maggio 1945 12.000 soldati sloveni vennero posti a bordo di treni dell'Esercito britannico e trasportati in Austria. Essi pensavano fosse il tragitto che li avrebbe condotti in Italia, e quindi verso la salvezza. La vera destinazione fu però la Slovenia, con la tortura prima e la morte poi. Questo libro, basato sulle testimonianze dei sopravvissuti, racconta la storia sconosciuta dei Domobranci, membri cattolici e anticomunisti della compagine dei collaborazionisti dei tedeschi e degli italiani che venne sterminata e dispersa in una diaspora tra le più crude nell'ambito del dopoguerra.
Un'aura particolare, ancor oggi viva in virtù della tradizione orale, circonda l'unicità dei combattenti bosniaci inquadrati in reggimenti austro-ungarici dopo l'acquisizione della Bosnia-Erzegovina da parte della monarchia danubiana. Al di là degli elementi "leggendari" e di colore, i Bosniaken, divenuti in breve tempo unità d'élite del multietnico esercito che servirono con ineguagliata lealtà e devozione, si segnalarono per il loro ardimento e per la rara tenacia dimostrata nelle circostanze più difficili e per le gesta compiute sul fronte italiano nel primo conflitto mondiale, distinguendosi in special modo nella guerra di montagna. Questo volume fornisce un apporto inedito alla conoscenza di questi reggimenti - etnicamente i più coesi della k.u.k. Armee - che combatterono nella fase crepuscolare della monarchia bicipite.
Inizialmente visti con estrema diffidenza, gli Ebrei vennero inseriti nell'ir. Esercito multinazionale Austro-ungarico fin dal Settecento. Superando una serie di difficoltà legate alle rigide disposizioni della propria religione, gli Ebrei tuttavia dimostrarono nel tempo un sincero attaccamento ai colori degli Asburgo, fino a compiere veri e propri atti di eroismo e svolgendo carriere di assoluto vertice.
Le operazioni speciali (spionaggio, sabotaggio, infiltrazione, controinformazione ecc...) sono oggetto di studio dell'arte della guerra soprattutto a partire della Seconda guerra mondiale. Questo studio innovativo getta una luce del tutto originale sulla pratica delle operazioni di guerra non convenzionale presenti già nel Medioevo.
"Il fuoco è tutto; il resto non ha importanza", affermò Napoleone alla vigilia della battaglia di Wagram, ribadendo una convinzione da tempo elaborata. Di fatto, il cruento scontro che il 5 e 6 luglio 1809 oppose su un fronte di 22 chilometri gli eserciti francese ed austriaco (una forza complessiva di 300.000 uomini), fu il più imponente combattimento delle guerre napoleoniche, un fatto d'armi che da ambo le parti vide un impiego del fuoco d'artiglieria senza precedenti. La campagna danubiana del 1809, risultato della rinnovata aggressività bellica dell'Austria dopo le ripetute sconfitte culminate nella rotta di Austerlitz del 1805 e le conseguenti perdite territoriali a vantaggio dei francesi, si caratterizzò per l'alternarsi delle fortune dei contendenti. In una prima fase, dopo l'occupazione di Vienna, Bonaparte cercò con risolutezza l'annientamento dell'Armata principale dell'arciduca Carlo, finendo però col subire uno scacco ad Aspern-Essling nel mese di maggio: gli austriaci avevano fatto propria la tattica dei sistemi di corpi d'armata ideata da Napoleone, sicché per l'imperatore diventava arduo assestare il colpo definitivo al nemico. Tale stato di cose condusse allo scontro d'attrito dei due giorni di Wagram, che segnò una svolta fondamentale nella conduzione della guerra in generale, preannunciandone i suoi sviluppi moderni.
La decima e l'undicesima battaglia dell'Isonzo, le ultime due "spallate" di Cadorna narrate da due testimoni diretti di quei drammatici episodi, da essi seguìti in qualità di ufficiali di Stato Maggiore all'interno di due osservatori privilegiati: il Comando della XXVII Divisione del Generale Badoglio e quello della Isonzo-Armee di Boroevic´. La professionalità dei loro ruoli si riverbera in una prosa asciutta, da "relazione ufficiale": in quella del Baj-Macario, in particolare, percorsa a tratti da valutazioni personali e spunti polemici su fatti e protagonisti, ispirati - non è difficile immaginare - dallo stesso Badoglio, già superiore diretto dell'Autore. L'essenziale narrazione del von Pitreich è arricchita nel finale da pagine cariche di pathos, tratte dal diario di un soldato austriaco che descrive gli estremi, inani sforzi italiani per aver ragione del San Gabriele, il "Monte della Morte", l'ultimo baluardo che sbarrava loro il passo sulla soglia di Gorizia. La sofferta conquista italiana della Bainsizza segnò lo sforzo massimo profuso dai combattenti e dalla Nazione, ormai stanchi della guerra, ma anche gli austro-ungarici, ormai consapevoli che non sarebbero più stati in grado di sostenere da soli una dodicesima spallata, rivolsero un'accorata richiesta di aiuto all'alleato tedesco. Due opposti stati di prostrazione che, come indica il titolo della presente opera, recano in sé i germi di Caporetto.
Dal 1615 al 1617 l'esercito della Repubblica di Venezia e quello dell'arciduca Ferdinando d'Austria si affrontarono sul territorio che dalla Val Canale giungeva a Monfalcone, sull'Adriatico, insistendo per un lungo tratto lungo il fiume Isonzo. Trecento anni dopo, sui medesimi luoghi, si sarebbero scontrati nel corso della Prima guerra mondiale Italiani ed Austriaci. Combattuta anche in Istria e Dalmazia, nel corso di questa guerra Venezia lottò per mantenere il dominio del Golfo e per riconquistare i territori perduti durante la guerra contro la lega di Cambrai, gli Arciducali per difendere il Südland isontino ed affermare le proprie aspirazioni sull'Adriatico. In questo aspro conflitto, caratterizzato da scorrerie, assedi, combattimenti e colpi di mano, più che da vere e proprie battaglie campali, si distinsero alcuni tra i più brillanti condottieri del secolo, tra i quali Wallenstein; gli stessi Generali comandanti le contrapposte armate, Pompeo Giustiniani ed Adamo di Trautmannsdorf, trovarono una gloriosa morte sul campo. Dopo le cronache di pochi autori seicenteschi ed alcuni successivi contributi, per lo più ispirati ai loro scritti, questo lavoro basato su ricerche d'archivio traccia per la prima volta un chiaro, equilibrato ed esaustivo quadro degli eventi, ponendo altresì all'attenzione del lettore aspetti rimasti sino ad oggi ignoti.
Quando, tra il 2000 e il 2001, prima con un'intervista rilasciata a "Le Monde" e successivamente con la pubblicazione del presente volume di ricordi sull'esperienza nella guerra d'Algeria, il generale in congedo Paul Aussaresses decise di rompere il silenzio e di esporsi in prima persona rivelando i brutali metodi repressivi impiegati dall'esercito francese (e dei quali egli fu uno degli esecutori) nella lotta ai "ribelli" del Fronte di liberazione nazionale algerino (FLN), la Francia fu investita da una forte ondata emotiva e i vertici militari ne furono sensibilmente allarmati. La domanda che allora ci si pose era perché, a oltre quarant'anni di distanza, uno dei fondatori dello SDECE (Servizio di documentazione estera e di controspionaggio), tra i responsabili di spicco dei servizi di intelligence che operarono in Algeria tra il 1955 e il 1957 e in prima linea nelle sanguinose battaglie di Philippeville e di Algeri, rese noti particolari così sconvolgenti riguardanti l'uso sistematico della tortura e delle esecuzioni sommarie contro gli insorti? L'autore fornisce una risposta che può essere sintetizzata tanto nell'atteggiamento al tempo assunto dalle massime sfere governative parigine (l'allora presidente Pierre Mendès France dichiarò che la Francia non avrebbe mai trattato con i ribelli); quanto nell'augurio che egli esprime alla fine del libro, ossia che ai giovani francesi non debba mai toccare di fare quello che egli "dovette" fare in Algeria.
I Cavalieri Teutonici furono potenti e fieri sostenitori della guerra santa. La loro storia fu una catena di crociate, campagne e lotte. Temuti dai nemici e rispettati dalla Cristianità del Medioevo, i Cavalieri ed il loro Ordine controllarono fermamente la regione baltica e la Germania del Nord, istituendo un sistema di governo forte ed autorevole, che prosperò per oltre trecento anni in tutta l'Europa Centrale. Questo testo è un importante contributo alla ricostruzione della storia dei Cavalieri Teutonici e del loro Ordine sotto il profilo militare: l'ascesa al potere, la lotta contro i pagani prussi, la sequela di guerre contro Polonia e Lituania, lo scontro con la Russia di Alexander Nevsky, la graduale stagnazione dell'Ordine durante il Quattordicesimo secolo. Il libro è ricco di episodi drammatici - la battaglia sul ghiaccio del Lago Peipus nel 1242, o la disfatta di Tannenberg - ma è soprattutto un racconto della continua lotta, anno dopo anno, che i Cavalieri sostennero per mantenere il potere, respingere incursioni e bande di predatori, e per lanciare crociate contro i nemici infedeli. Fu infatti la crociata, in cui i Cavalieri poterono dimostrare sempre il loro valore, la loro audacia e le loro virtù cavalleresche, che diede vita e animò nel tempo quest'Ordine religioso e militare. William Urban ci fornisce una mappa dell'evoluzione storica dell'Ordine. L'edizione italiana è arricchita da una estesa introduzione di Franco Cardini.
Questo libro ricostruisce la campagna d'Italia della Seconda guerra mondiale avvalendosi di un registro duplice: il piano dei fatti ufficiali si alterna costantemente con quello della guerra segreta nelle retrovie, le vicende belliche assumono nell'insieme la coloritura del ricordo personale, brillante e minuzioso, di un giovanissimo ufficiale dell'OSS (Office of Strategic Services). Max Corvo fu scelto per questa missione data la sua familiarità con la terra d'origine, l'Italia, la sua lingua ed i suoi dialetti, con la sua cultura, la sua gente, il suo territorio tormentato e, infine, con la sua ricca storia. Grazie a queste conoscenze, e al suo talento personale, Corvo poté proporre ed attuare una serie di operazioni di spionaggio sul campo a sostegno della guerra contro i tedeschi ed i fascisti, fino alla loro sconfitta definitiva. lIl testo risponde, fra ammissioni e omissioni, a molte domande riguardanti l'invasione della Sicilia del 1943, l'accusa di collaborazione fra mafia e forze armate americane, il trattamento riservato dalle forze di occupazione tedesche e dai fascisti alla popolazione italiana, il sistematico smantellamento della macchina da guerra germanica sul territorio italiano fino alla caduta del fascismo ed alla morte di Mussolini.
Giunto presso lo Stato Maggiore della 14° Armata di Below, Hans Killian, descrive le ricognizioni preliminari che compie nel settore dell'Alto Isonzo, fino a restituirci la topografia completa del teatro di battaglia. In seguito ha occasione di partecipare alle riunioni dei più alti ufficiali dell'Armata in vista dell'offensiva e di incontrare tutti i protagonisti - dall'imperatore Carlo all'arciduca Eugenio - di quell'evento, il testo è una vasta galleria di figure e un racconto in cui la memoria personale si innesta su fonti già note. "Attacco a Caporetto" contiene un ricco corredo iconografico, gli ordini completi di battaglia austro-germanico e italiano alla mezzanotte del 24 ottobre 1917.
In una disamina contro corrente rispetto alla letteratura sull'argomento, Geoftrey P. Megargee sfata il mito secondo il quale i vertici militari tedeschi nella seconda guerra mondiale avrebbero prevalso se Hitler non avesse interferito nelle loro scelte strategiche. L'ipotesi dell'autore è che nel Comando Supremo di Hitler vi fossero molte più pecche di quante siano state generalmente riconosciute. Megargee indaga le modalità che regolarono il processo decisionale delle strutture di comando militare del Terzo Reich attraverso le scelte dei suoi massimi livelli, che alla fine compromisero definitivamente la presunta superiorità sul campo dei tedeschi a causa di errori strategici e di pianificazione operativa.
Nella primavera del 1945 Trieste divenne meta contesa dell'avanzata di due eserciti che parallelamente risalivano verso la città: da Est la Quarta Armata Jugoslava, da Ovest il 13° Corpo alleato che inquadrava soldati di nazionalità provenienti da tutto il mondo. Tra di essi la punta avanzata era costituita dalla 2ª divisione di fanteria neozelandese. L'autore, all'epoca Chief Intelllgence Officer di questa divisione comandata dal Generale Bernard C. Freyberg, ne tratteggia l'azione travolgente in grado di fiaccare ogni residua resistenza nemica. Il libro è un grande reportage che si colloca ai vertici della memorialistica legata alla Seconda guerra mondiale.