Quando nel 1943, dopo due anni di occupazione tedesca, Vasilij Grossman entra al seguito dell'Armata Rossa nei territori liberati dell'Ucraina orientale, a colpirlo non sono tanto le lacrime e le grida straziate, quanto piuttosto «il silenzio della morte», il silenzio di un popolo massacrato con aritmetica ferocia. «Dov'è il popolo ebraico? ... Dov'è il milione di ebrei che tre anni fa viveva e lavorava su questa terra in pace e armonia con gli ucraini?». Ben prima di trovarsi dinanzi all'«inferno di Treblinka» e che i crimini nazisti siano svelati al mondo in tutta la loro efferatezza, Grossman non si accontenta di rispondere a questa domanda, ma scandaglia le cause di quello che già si delinea ai suoi occhi come «il crimine più grande che sia mai stato commesso nella storia».
Nel 1951 il cinico, caustico, cattolico Evelyn Waugh rimette piede in Terra Santa, eterno terreno minato, e ha il coraggio di dire la sua, come solo lui sapeva fare - con devozione, curiosità e meraviglia per lo splendore dei luoghi -, su una piaga mai sanata in ogni animo, credente o non credente.