1116, Regno di Francia. Eloisa è una donna fuori dal comune. Chiusa in convento fin da giovanissima, senza sapere nulla dei genitori, non è mai riuscita ad abituarsi a quella vita, una prigione fatta di polvere, silenzio e litanie, per lei prive di senso, ripetute all'infinito. L'unico modo di evadere è chiudersi nella biblioteca del convento dell'Argenteuil e perdersi tra le righe dei manoscritti che lì vengono conservati. Per questo, il giorno in cui le viene consegnata la lettera di suo zio Fulberto, che la invita a raggiungerlo a Parigi a vivere con lui, fuori da quelle odiate mura, Eloisa non crede ai propri occhi. La libertà. Finalmente la libertà che tanto ha desiderato assaporare. Pietro di Berengario, noto in tutta Parigi come Abelardo, è uno dei filosofi più celebri del suo tempo. Le sue lezioni all'università sono seguite da centinaia di studenti. Per quello ha lasciato la primogenitura e il suo castello in Bretagna e ha preso i voti, perché era il solo modo per poter dedicare la sua vita all'unica cosa che per lui abbia un senso: il sapere. Quando Eloisa e Abelardo si incontrano - lo zio di lei ha voluto concedere alla nipote una vera istruzione con il maestro più rinomato del momento - la loro è quasi una sfida. Diffidente lui, perché non pensa che una donna possa meritare la fama di letterata con cui viene acclamata Eloisa. E orgogliosa lei, che sente il rifiuto di Abelardo ad accettare la sua intelligenza. Ed è proprio questo il momento in cui sboccia il loro amore, in cui passione e intelletto fungono da trama e ordito, un'unione che è di corpi quanto di anime e menti. Tanto grande nella gioia quanto disarmante nel suo drammatico epilogo, che li porterà prima a mentire e a imbrogliare chi li ama, poi a perdere tutto e a vivere separati per sempre.
Milano, 1496. Leonardo da Vinci ha atteso con ansia quel primo incontro con frate Luca Pacioli, allievo di Piero della Francesca e illustre matematico. Entrato nella cella del frate nel monastero che lo ospita, nell'attesa che questi arrivi, Leonardo si sofferma su un dipinto che ritrae lo studioso. Un insieme di allegorie e di richiami alla geometria euclidea che lo colpisce infinitamente: di certo è stato il frate a scegliere ogni dettaglio. Per Leonardo, da sempre interessato a ogni branca del sapere, la matematica, il cui studio gli era stato precluso, rimane la regina di ogni scienza. Proprio per questo aveva chiesto all'ambasciatore milanese a Venezia di invitare il francescano a Milano. Da lui, potrà finalmente apprendere quel sapere. L'incontro tra i due uomini, però, viene funestato dalla morte del vicino di cella di Pacioli, un sedicente frate, in realtà un ladro, reo di aver trafugato degli antichi testi bizantini giunti in Italia in seguito alla rovinosa crociata in Morea condotta da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Quei volumi, scomparsi insieme all'assassino, sono di grandissimo interesse anche per Leonardo e per Pacioli. Insieme, da Milano a Venezia, da Firenze a Urbino, attraversando un'Italia ormai al tramonto della felice epoca pacifica e indipendente di Lorenzo dei Medici, degli Sforza e dei Montefeltro, i due si metteranno sulle tracce dell'assassino e dei testi rubati, e Leonardo scoprirà l'enigma nascosto nel quadro che raffigura Pacioli.
Publio Cornelio Scipione sa di essere arrivato alla fine. È il 190 a.C. La crisi siriaca è al suo culmine, e Roma, anche se sfinita da anni di guerra, ha deciso di fronteggiare il re di Siria, Antioco, costante minaccia ai confini orientali della Repubblica. Scipione è tra i legati inviati in Grecia a negoziare la pace, e anche se la missione è un successo, che porta a Roma di fatto l'incontrastato dominio del mar Egeo e ricchezze inestimabili, Publio Cornelio non viene salutato da Roma come crede di meritare. Lontano dall'essersi arricchito, è tuttavia accusato, insieme al fratello Lucio, di aver accettato doni e denaro da Antioco, per una negoziazione giudicata da Roma troppo mite. È così che Scipione l'Africano, l'uomo che aveva sottratto l'Africa ad Annibale, e che aveva fatto di Roma la sua ragione di vita, decide di ritirarsi a Liternum, in Campania, dove la morte lo coglierà nel 183 a.C. Santiago Posteguillo racconta il maestoso ultimo atto della saga dedicata a uno degli uomini più grandi e forse meno capiti della storia di Roma, facendolo rivivere nei pensieri e nelle azioni, e negli ultimi momenti in cui, ritornando con la memoria alle gesta passate, Scipione si congeda dalla vita e dalla Storia compiendo un doloroso e commosso bilancio.
È il 1437 quando per la prima volta Isotta degli Atti posa lo sguardo su Sigismondo Pandolfo Malatesta. Lui, ventenne, è il turbolento e ambizioso signore di Rimini e di Fano, lei, una bambina di soli cinque anni, figlia di un piccolo nobile della zona. Isotta cresce nel mito di Sigismondo e grazie alla carica del padre, consigliere economico del signore di Rimini, ha la possibilità di rivederlo. Dopo sette anni dal primo incontro comincia a nascere in loro un sentimento fortissimo. Ma Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, e Isotta è stata cresciuta per essere moglie e non amante. Questo il conflitto che renderà tortuoso il percorso di due anime complementari, lei nella perenne ricerca di conferme, lui disposto a dimostrarle i propri sentimenti attraverso l'arte, la parola e l'idea. Quando, dopo la morte di Polissena Sforza, la ragion di Stato sembra volere una nuova nobile moglie accanto a Sigismondo, anche le ultime certezze dei due innamorati paiono vacillare. Inoltre, la vita e lo stesso ruolo del signore di Rimini sono ostacolati da intrighi, avidità, inganni, legami di sangue e di morte, a cui si aggiunge l'odio dei suoi due più acerrimi e potenti nemici: Federico da Montefeltro e papa Pio II, che usa lo splendore umanista del Tempio Malatestiano per condannare il signore di Rimini. Sarà proprio nel momento più difficile della vita di Sigismondo - abbandonato anche dai più fedeli alleati - che l'amore incondizionato e gratuito di Isotta si rivelerà salvifico e porterà a cambiare il destino delle loro vite.
Credeva di essersi lasciato alle spalle per sempre i giorni dell'arena, della folla urlante, dei gladiatori costretti a combattere come animali da spettacolo. Credeva di aver saldato il suo conto con il Fato. Ma quando il suo mondo di pace viene distrutto e i suoi amici uccisi, comprende che alla violenza non si sfugge. Se un destino di sangue è ciò che gli dèi vogliono per lui, sangue sarà, decide Valerio. E da quel giorno, gettata la bisaccia da medico, la spada diventa la sua compagna.
Ma non è solo la voce della vendetta a guidarlo. È anche il richiamo di un simbolo, un oggetto che dona invincibilità a chi lo possiede: l'aquila d'oro della legione Augusta, scomparsa nella Foresta di Teutoburgo nelle ore nefaste della disfatta, e mai più ritrovata.
Qualcosa lega Valerio a quell'insegna, un presagio, un mandato del Fato. Per trovarla dovrà affrontare pericoli e nemici e seguire il filo della profezia fino alle terre d'oltremare, a ridosso delle mura di Gerusalemme, assediata dall'esercito di Vespasiano. Lì, in terra d'Africa, in una notte fatale per lui e per l'Impero, Valerio torna a essere Orpheus, il gladiatore. E, una volta ancora, deve combattere o morire.
C'è un personaggio nella vita di Albert Einstein senza il quale la sua storia - e la nostra - non sarebbero quello che sono. Fu il suo più grande amore, ma anche qualcosa di più: la donna che lo ispirò, lo incoraggiò e lo aiutò a concepire quella formula che avrebbe cambiato il mondo. Mitza Maric era sempre stata diversa dalle altre ragazzine. Appassionata di numeri, fu la prima donna a iscriversi a fisica all'università di Zurigo, più interessata a quello che non a sposarsi come la maggior parte delle sue coetanee. E quando a lezione incontrerà un giovane studente di nome Albert Einstein, la vita di entrambi prenderà la strada che era fin dall'inizio scritta nel destino. La loro sarà un'incredibile unione di anime e menti, un amore romanzesco e tormentato, destinato a finire e, allo stesso tempo, a restare nella storia.