Partorita nel 1943, nella sanguinosa temperie della Seconda Guerra mondiale, l'opera si presenta come una riflessione organica sulle cause che hanno condotto l'Europa al collasso, sino ad un ripensamento complessivo intorno alle fondamenta stesse della modernità occidentale. La retorica dei diritti, le storture del capitalismo, l'abominio del nazismo tedesco e del comunismo sovietico, il declino delle comunità, il dominio della tecnica, la perdita della trascendenza, l'idolatria dello Stato e della forza bruta sono solo alcuni dei fenomeni connessi alla "malattia" dello sradicamento. Magistralmente offerti al lettore quale potente affresco di una intera vicenda umana, nel Radicamento Simone Weil tenta di mettere a punto un progetto di modernità alternativa, costruita sul rispetto della dignità di tutti, sulla responsabilità personale, sul dovere verso l'essere umano, sull'empatia con il prossimo, sulla rinuncia alla forza.
l fenomeno del linguaggio pervade tutta la realtà. Ogni evento può essere raccontato. Ci orientiamo nel mondo dando nomi alle cose. Il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, ma segna profondamente la nostra esistenza. Questo libro risponde al desiderio di guardare il fenomeno del linguaggio da molteplici punti di vista, non solo nella sua struttura logica, ma anche come luogo dell'interpretazione, della comunicazione e della conoscenza. Pertanto, gli autori presi in considerazione appartengono sia alla tradizione nota come analitica sia a quella che viene definita continentale. Questo sguardo inclusivo riguarda anche la dimensione storica: la risposta ai quesiti che emergono viene cercata infatti sia negli autori classici del mondo antico sia nei contributi dei pensatori contemporanei.
La metafisica è spesso presentata come se costituisse un discorso chiuso, completo. Sarà per questa ragione che non si la considera importante per la vita, che è complessa, esitante. La metafisica sarà fantascienza, oppio per la ragione? Essa corrisponde però a una vera esigenza della ragione umana. Non sarà l'esigenza di possedere una verità ultima in cui tutti i problemi dell'esistenza troveranno la loro soluzione, ma una necessità che appartiene intrinsecamente all'intelletto. L'intelletto umano non si soddisfa di qualsiasi ragione, lotta contro ogni rischio d'illusione, desidera una soddisfazione che sia proporzionata alle sue possibilità. Il libro si divide in due parti. La prima, una sorta di cammino ascendente, interpreta la figura che, nella filosofia del linguaggio, si chiama "analogia". La seconda parte, un cammino discende, esamina la sequenza del trascendentali proposta da Tommaso d'Aquino, interpretata integrando gli sforzi della filosofia dei nostri tempi.
Quali opzioni filosofiche contrassegnano il realismo? La questione della conoscenza del reale appartiene al pensiero filosofico di ogni tempo: nei dibattiti filosofici contemporanei essa si accende di varie tonalità, per il moltiplicarsi di forme di realismo e antirealismo. Il problema di fondo è se, conoscendo il reale, siamo consapevoli di ciò che comporti affermarsi conoscenti in termini personali e culturali. Quali concezioni della cultura possono accompagnare il sapere? Come affrontare i problemi attinenti al dialogo tra discipline? Il sapere, contrassegnato da rivoluzioni scientifiche e da trasformazioni storico-culturali, può ancora ricomporsi attorno a un metodo? Quali attenzioni richiede il pluralismo delle culture? Domande e risposte di carattere epistemologico e metodologico s'intrecciano nel presente volume: esse sono state elaborate scavando soprattutto in alcuni contesti culturali contemporanei e attingendo alle proposte provenienti dal pensiero di B. Lonergan. Le esplorazioni presenti in ciascun capitolo appartengono a una ricerca interdisciplinare, criticamente affrontata da docenti universitari che hanno selezionato peculiari nuclei problematici, rappresentativi di alcune sfide attuali sui versanti del sapere. Contributi di: Carlo Cirotto, Valter Danna, Rosanna Finamore, Pasquale Giustiniani, Paolo Gherri, Giuseppe Guglielmi, Pierpaolo Triani.
C'era una volta la metafisica, regina delle scienze. Dall'alto della sua autorevolezza dispensava principi e metodo, certezze scientifiche e rigore di ricerca alle altre scienze. Il suo primato durò a lungo: da Platone a Aristotele, dall'età ellenistica e romana fino al medioevo, raggiungendo il suo vertice con l'actus essendi di Tommaso d'Aquino. Ma già con Tommaso, e soprattutto con Enrico di Gand, Scoto, Ockham, iniziarono i problemi. Prima è emerso il soggetto con la mutevolezza della soggettività, che si oppone alla certezza immutabile dell'oggetto. E questo emergere del soggetto, attraverso il cogito ergo sum di Cartesio, ha condotto ad affermare la soggettività assoluta dell'Idealismo. Poi, è stata la crisi dell'oggetto della metafisica: la caduta degli astri dalla fisica ha segnato la mancanza di un ponte per il passaggio "scientifico" dalla fisica alla metafisica e a Dio. Mentre la riduzione dell'essere da predicato reale a pensato-possibile (Kant, Leibniz, Wolff...) toglieva alla metafisica la concretezza di scienza del reale, riducendola a parte della logica. Heidegger ha riproposto con forza il problema dell'essere nei termini radicali della differenza ontologica - cioè della distinzione tra l'essere e l'essente -, e come problema dell'uomo e per l'uomo, da ripensare passando attraverso l'uomo: analisi ontologica della soggettività, che a sua volta permettesse di rifondare la metafisica (ontologia fondamentale).
Oscar Pistorius, campione dei Giochi Paralimpici per atleti con disabilità fisiche, è stato ammesso nel 2008 alle Olimpiadi normali. Il tribunale ha messo in evidenza che le sue protesi per le gambe non gli davano alcun vantaggio sugli altri atleti. Ma questo è solo un esempio di un processo culturale sconvolgente, di portata epocale. Nel laboratorio dello scienziato, seguendo la procedura del metodo scientifico, la ragione viene 'incorporata' in un apparecchio, slegandosi dalla tradizione che la voleva sempre presente durante l'uso di strumenti più semplici, non 'intelligenti'. La 'mente meccanizzata', come le cheetah di Pistorius, ha lanciato il corpo umano alla velocità del pensiero: possiamo (quasi istantaneamente) ricevere un'e-mail mentre viene scritta o vedere con un'ecografia chi non è ancora nato. Ma mentre ciò accade, l'uomo usa la ragione in un modo nuovo, non tradizionale. Infatti, gli strumenti 'intelligenti' sono certamente una conquista, ma fanno venir meno alcune certezze elementari. La ragione corre la corsa della macchina, ma smarrisce le sue radici: non sa più da dove venga, non sa più a chi appartenga, se alla macchina o all'essere umano che la utilizza. Solo un tribunale - ma presieduto da chi? - potrebbe garantire il suo corretto funzionamento. Insomma, come Pistorius, anche la ragione è a un bivio: appartenere solo all'uomo o anche allo strumento?
L'esperienza della responsabilità che nasce nell'incontro con l'altro è assunta nel presente volume come punto di partenza della riflessione sulle condizioni di possibilità di una vita autenticamente umana. La descrizione dei fenomeni costitutivi di questa esperienza e l'esplicitazione dei loro significati etici e antropologici conducono, attraverso il dibattito con i pensatori del passato e del giorno presente, alla fondazione meta-antropologica dei principi, dei valori e delle norme morali. Nella prospettiva aperta dalla concezione della persona come essere relazionale e "dono autonomo", vengono individuati quei modi di vivere "con" e "per" gli altri che alla luce della "sapienza dell'amore" appaiono alla ragione pratica come moralmente necessari e universalmente validi.
Nelle scene finali del film Indiana Jones e l’ultima crociata, il protagonista, per raggiungere la custodia del Santo Graal, dovette superare un precipizio attraversando un ponte di pietra reso invisibile dai costruttori mediante un’illusione ottica. Prima di vedere il solido passaggio sul baratro, dovette credere che davanti a lui ci fosse qualcosa che lo potesse sostenere sul vuoto. Di fronte alla scelta tra l’apparente certezza di morte e una misteriosa possibilità di vita, l’avventuroso archeologo accettò la ragionevolezza del rischio e fece il primo passo sull’abisso. Con sorpresa, si sentì sorretto dal ponte che solo il limite della sua vista gli impediva di vedere. Il passaggio tra le due sponde esiste, ma l’unica via possibile appare folle e mortale. Solo accettando il “rischio bello” dell’invisibile, il protagonista può camminare sul ponte che è visibile solo quando è attraversato. Forse questo libro deve qualcosa anche a Indiana Jones: la ragione, osando credere, vede con i suoi occhi cose che gli occhi, da soli, non avrebbero mai potuto vedere.
Nelle società occidentali l’educazione è la più drammatica delle urgenze. All’interno di una visione dell’uomo, nella quale la ragione umana è vista come mero strumento per costruire e fabbricare realtà materiali, l’atto educativo è semplicemente impossibile. Educare significa infatti non solo insegnare «come fare», ma anche insegnare a vedere l’invisibile, a realizzare ciò che è solo potenziale: a «diventare ciò che siamo». Significa soprattutto trasmettere una verità portando la propria esperienza vissuta – che è invisibile – e sollecitando l’adesione libera e fiduciosa del discepolo, o del figlio, a credere a quell’ invisibile che, presto, vedrà.
Nella cultura contemporanea è largamente diffusa l’opinione secondo la quale sarebbe impossibile stabilire una qualsiasi relazione tra verità e mistero.
L’impossibilità deriverebbe per un verso dalla convinzione che esistono molte ipotesi di verità, generate da culture e persone diverse, tutte valide e non giudicabili con categorie esterne all’ambito di appartenenza, e per l’altro dalla asserita inconoscibilità del mistero. Sarebbe quindi necessario ammettere la pluralità e non unicità del fatto religioso e la sua separazione dal problema della verità.
Il rapporto tra verità e mistero e le questioni inerenti alla compresenza di differenti religioni sono temi attuali, ma non nuovi: la cultura tardo-antica li aveva già affrontati. La cultura classica, infatti, si era posta la domanda sulla verità. Il cristianesimo ha affermato la presenza della verità determinando l’esigenza di mutamenti nelle prospettive dei culti esistenti e nella formulazione di teorie sulla religione.
Il dibattito culturale dei primi secoli della nostra era può dunque offrirci preziosi spunti di riflessione per una migliore comprensione del nostro presente.