Sbaglieremmo se pensassimo che le vere First Ladies americane siano solo quelle ritratte a colori. Eleanor Roosevelt, l'unica ad aver trascorso alla Casa Bianca ben quattro mandati, dal 1933 al 1945, ha saputo impressionare l'immaginario con la sua schiettezza, specie in ordine alle questioni razziali, la sua autonomia di pensiero - essendo stata la prima consorte presidenziale a scrivere regolarmente su giornali e periodici e a condurre programmi radiofonici -, la sua abilità diplomatica e politica in qualità di delegato degli Stati Uniti all'Assemblea Generale dell'ONU. Come Presidente della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, è universalmente considerata la madre della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ed è ancora oggi un fulgido esempio di libertà e determinazione femminili. Da queste prolusioni, tenute in diverse università americane e francesi fra il 1948 e il 1958, affiora la sua capacità visionaria fuori dal comune e il convincimento ideale con cui riuscì a promuovere il dialogo fra nazioni e culture diverse per la costruzione della pace, quando il mondo era appena sopravvissuto agli orrori della Seconda guerra mondiale e un nuovo totalitarismo contendeva alle democrazie il dominio della Terra.
Nessun uomo politico ha occupato posizioni di governo nel corso di entrambe le guerre mondiali del secolo scorso. Nessuno a parte Winston Churchill, un testimone del Novecento fuori dal comune anche per la personalissima maestria con le parole, agevolata da un ingegno fulmineo, da una lingua affilata e da un inesauribile vocabolario. La sua produzione letteraria - cinquantuno libri (di cui undici postumi) raccolti in ottanta volumi, accompagnati da centinaia e centinaia di articoli scritti come corrispondente di guerra in India, Sudan e Sudafrica per permettersi l'acquisto delle scorte di Pol Roger con cui innaffiava immancabilmente i suoi pasti - ammonta a più di quanto scrissero Charles Dickens e William Shakespeare messi insieme, il che fa del Premio Nobel per la Letteratura che gli venne conferito nel 1953 un riconoscimento tutt'altro che onorario. Churchill fu anche un instancabile oratore, e altrettanto abbondante è il numero di discorsi che tenne nel corso della sua vita. Dotato di una notevole memoria, che gli aveva guadagnato un premio scolastico per l'abilità di recitare a braccio lunghissimi poemi, non mancava però mai di provare i suoi discorsi, di cui scriveva numerose versioni, ripetendone ad alta voce i passaggi cruciali - e segnando pause e sottolineature retoriche - mentre misurava a grandi passi la stanza. Fu così che riuscì a trasformare persino la sua pronuncia blesa e la lieve balbuzie in uno strumento di efficace retorica. Immaginandolo arringare i colleghi a Westminster o le folle che ne amavano la capacità di leadership, è meno noto che alcuni fra i suoi più celebri e intensi discorsi Churchill in verità li tenne nelle università e nelle scuole. La selezione che proponiamo riunisce cinque prolusioni tenute negli anni fra il 1941 e il 1949 nelle università di Harvard, Zurigo e al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e nelle public schools di Harrow e Westminster. Fu davanti a un uditorio composto da docenti e studenti, dunque, che Churchill intonò per la prima volta il suo storico incitamento a non arrendersi mai ('Never give in'), impiegò per la prima volta la locuzione di suo conio 'cortina di ferro' e auspicò la creazione degli Stati Uniti d'Europa, fino ad alludere con stile visionario alla sfida mondiale di tenere insieme la pace fra i popoli e lo sviluppo tecnico-scientifico.