Nel 1935 Winston Churchill ha sessant'anni. Dalla casa di campagna di famiglia, scrive all'amata moglie Clementine e le racconta di come stia sperimentando un nuovo modo di parlare in pubblico, più rilassato e colloquiale, che sembra deliziare tutti in parlamento. Nella stessa lettera si lamenta di quanto stia male la barba al figlio, si duole per la loro capra bruna morta accidentalmente, gioisce per quella bianca che invece aspetta dei capretti e, tra una cosa e l'altra, riferisce di come, a quanto pare, la Germania sia velocemente diventata la più grande potenza armata d'Europa. È così, bilanciando le grandi svolte della storia mondiale con i dettagli della vita familiare, che questo libro traccia una minuziosa e sorprendente biografia di Churchill attraverso la corrispondenza più intima che spedì nel corso della sua vita. Come un controcanto alle biografie ufficiali, lo vediamo fuori dal parlamento, lontano dai palcoscenici e dalle vibranti dirette radiofoniche, quando si sedeva al tavolo, in vestaglia da camera, e scriveva ai familiari e agli amici - che, certo, spesso erano del calibro del primo ministro Asquith, del presidente americano Roosevelt, dell'indipendentista irlandese Éamon de Valera o del presidente francese Charles de Gaulle. Ma non solo: troviamo le lettere di un Winston bambino che implora la madre di essere portato al circo, o di un Churchill adolescente che mostra già la sua vena polemica lamentandosi dello stato in cui versano le aule in cui studia. E scopriamo, leggendolo coi nostri occhi, il primo affacciarsi di un pensiero, quello di fare politica: quando il futuro primo ministro ha vent'anni, e scrive che forse più della carriera militare è la politica la sua strada, «un bel gioco da giocare, per cui vale davvero la pena aspettare una buona mano». Attraverso il dramma, l'immediatezza, le tempeste, le depressioni, le passioni e le sfide della sua straordinaria carriera, queste lettere ci portano nella storia del Novecento attraverso la vita di un uomo sì esemplare, ma anche e soprattutto un essere umano con le sue emozioni, le sue fragilità e un ego gigantesco.
Nessun uomo politico ha occupato posizioni di governo nel corso di entrambe le guerre mondiali del secolo scorso. Nessuno a parte Winston Churchill, un testimone del Novecento fuori dal comune anche per la personalissima maestria con le parole, agevolata da un ingegno fulmineo, da una lingua affilata e da un inesauribile vocabolario. La sua produzione letteraria - cinquantuno libri (di cui undici postumi) raccolti in ottanta volumi, accompagnati da centinaia e centinaia di articoli scritti come corrispondente di guerra in India, Sudan e Sudafrica per permettersi l'acquisto delle scorte di Pol Roger con cui innaffiava immancabilmente i suoi pasti - ammonta a più di quanto scrissero Charles Dickens e William Shakespeare messi insieme, il che fa del Premio Nobel per la Letteratura che gli venne conferito nel 1953 un riconoscimento tutt'altro che onorario. Churchill fu anche un instancabile oratore, e altrettanto abbondante è il numero di discorsi che tenne nel corso della sua vita. Dotato di una notevole memoria, che gli aveva guadagnato un premio scolastico per l'abilità di recitare a braccio lunghissimi poemi, non mancava però mai di provare i suoi discorsi, di cui scriveva numerose versioni, ripetendone ad alta voce i passaggi cruciali - e segnando pause e sottolineature retoriche - mentre misurava a grandi passi la stanza. Fu così che riuscì a trasformare persino la sua pronuncia blesa e la lieve balbuzie in uno strumento di efficace retorica. Immaginandolo arringare i colleghi a Westminster o le folle che ne amavano la capacità di leadership, è meno noto che alcuni fra i suoi più celebri e intensi discorsi Churchill in verità li tenne nelle università e nelle scuole. La selezione che proponiamo riunisce cinque prolusioni tenute negli anni fra il 1941 e il 1949 nelle università di Harvard, Zurigo e al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e nelle public schools di Harrow e Westminster. Fu davanti a un uditorio composto da docenti e studenti, dunque, che Churchill intonò per la prima volta il suo storico incitamento a non arrendersi mai ('Never give in'), impiegò per la prima volta la locuzione di suo conio 'cortina di ferro' e auspicò la creazione degli Stati Uniti d'Europa, fino ad alludere con stile visionario alla sfida mondiale di tenere insieme la pace fra i popoli e lo sviluppo tecnico-scientifico.