Il volume di Alberto Spataro propone lo studio, l'edizione, la traduzione e il commento della la biografia ufficiale di Gregorio IX (1227-1241), tramandata dal Liber Censuum della Chiesa romana. Questa fonte, giunta a noi anonima e incompiuta, rappresenta una testimonianza significativa per la storia del papato duecentesco. Il confronto con l'imperatore Federico II di Svevia, il legame con le nuove esperienze religiose, la politica di recupero del Patrimonio di San Pietro, le tensioni con la nobiltà romana, le committenze artistiche e la vita di curia sono narrati in un latino alto e magniloquente. A dispetto dell'ampio e variegato contenuto, questa fonte è spesso accostata con una certa diffidenza, motivata da un'insicurezza riguardo le circostanze di composizione e dalla ostentata faziosità dell'anonimo autore, aperto sostenitore del pontefice. L'indagine condotta in queste pagine fa luce sui problemi relativi alla genesi e alla finalità dell'opera all'interno del quadro più ampio della tradizione storiografica pontificia e del confronto con la coeva produzione curiale.
Il rapporto tra l’autorità esercitata e il consenso necessario per poter governare costituisce un nodo centrale della storia del medioevo europeo, durante la quale si giunse a definire un nuovo significato di ‘regno’ e di ‘monarchia’ attraverso l’elaborazione di nuovi modelli formulati sugli esempi offerti dal mondo imperiale romano – la cui eredità era ancora ben presente nella sua parte orientale –, dalla Bibbia e dal mondo barbarico. In particolare, viene qui esaminato il termine ‘monarchia’ attraverso l’analisi delle sue realizzazioni nelle diverse regioni europee durante tutto il millennio medievale. Le sue cangianti e multiformi accezioni consentono di cogliere gli sviluppi della concezione del potere legittimo e delle sue possibilità di affermazione. Emerge così la difficoltà a fornire una definizione univoca di ‘monarchia’, una difficoltà ben rappresentata anche nella trattatistica di carattere giuridico e politico nella quale si distingue la Monarchia di Dante, che, peraltro, con tale termine intendeva l’impero romano.
L’indulgenza, ovvero la remissione parziale o integrale delle pene temporali dovute ai peccati rilasciata dal papa o da un vescovo, rappresenta una delle componenti più significative della religiosità medievale – e ciò soprattutto in ragione della sua pervasività, della sua popolarità, come pure della sua capacità di polarizzare. Lungi dal costituire esclusivamente una pratica intra-ecclesiastica legata all’esperienza penitenziale del singolo fedele, l’indulgenza cela in sé una poliedricità di applicazioni con ripercussioni di natura sociale, culturale e finanche politica, difficilmente riscontrabile presso altre forme devozionali o liturgiche del medioevo. Tra le iniziative a cui furono associate remissioni penitenziali sono da annoverare crociate, canonizzazioni di santi, pratiche caritative e devozionali, inquisizione e repressione dell’eresia, incoronazioni di papi e principi secolari, nonché innumerevoli campagne finalizzate al reperimento di fondi per la costruzione e il sostentamento di chiese, ponti e ospedali. Il volume, che raccoglie gli atti di un Incontro di Studi tenutosi nel febbraio 2015 presso la Bergische Universität di Wuppertal, affronta l’argomento da differenti prospettive tematiche e metodologiche, chiedendosi se e come l’affermazione della prassi indulgenziale e della relativa dottrina teologica e canonistica concorsero a modificare la concezione dominante della salvezza dell’anima e del rapporto sussistente tra i singoli fedeli e il vertice dell’istituzione ecclesiastica impersonato dal romano pontefice.