L'autore in questo volume ha l'intento di chiarire le ragioni dei Sudisti e le loro vere aspirazioni, per poi comprendere meglio la Confederazione Sudista e fare luce sulle reali cause del conflitto. La guerra civile americana ha portato infatti alla nascita degli Stati Uniti moderni, la contrapposizione tra la Confederazione e la sua antieconomica e obsoleta "peculiare istituzione" (la schiavitù) e l'Unione, la cui esplosione industriale ed economica mise il "Vecchio Sud" nella condizione di adeguarsi o essere cancellato dalla Storia (oppure resistere e, staccandosi dall'Unione, divenire una nazione indipendente), rappresentando anche il contrasto tra capitalismo e società agraria.
Nel 1983 Grandi fu convinto da Renzo De Felice a pubblicare questo suo memoriale, scritto a caldo nell'esilio portoghese nel 1944, ma lasciato inedito. Era l'ultimo rilevante tassello che ancora mancava per la ricostruzione di quel momento cruciale della storia italiana e la pubblicazione fu un evento. A vent'anni di distanza oggi viene riproposta la testimonianza di Grandi preceduta dalla corposa introduzione originaria di Renzo De Felice e da una nuova premessa in cui Giuseppe Parlato mette in rilievo la perdurante importanza del documento e fa il bilancio della sua ricezione e dello stato ultimo delle conoscenze sul 25 luglio.
Parte memoria, parte riflessione sulle quesioni rilevanti del nostro tempo, parte meditazione spirituale, il volume è il diario, quasi il verbale di una intensa settimana di meditazione vissuta da una piccola comunità di fedeli che si richiama alla regola di don Giuseppe Dossetti. Giorno dopo giorno, Pedrazzi tesse la sua originale riflessione attorno al magistero di Giuseppe Dossetti, alla scuola, alla figura dello straniero, alla pace, alla Chiesa, alla resistenza dinanzi all'ineluttabilità della guerra.
Paolo Emilio Taviani è morto, nel giugno scorso, avendo sul tavolo la copia definitiva delle sue memorie, da consegnare al Mulino. Ci aveva lavorato fino a quindici giorni prima. Sull'onda emotiva della sua scomparsa, la pressione dei media a prendere visione di queste memorie è stata fortissima, Il Mulino ha ritenuto di non derogare al proprio stile editoriale e pubblicandolo oggi ha rifiutato di trasformare in "istant book" un libro cui Taviani aveva lavorato anni. La narrazione prende le mosse dai primi ricordi "politici" per portarsi subito sul precoce impegno politico di Taviani, poi sul suo ruolo nella resistenza, infine sui diversi aspetti della sua carriera politica: dalla Costituente al governo Berlusconi, passando per gli anni d'oro della DC.
Nel 1922 Salvemini, che si è ritirato dalla politica attiva, prende a scrivere il diario per dar corpo alle sue riflessioni e per registrare quanto sta accadendo, sì da predisporsi il materiale per uno studio futuro sul fascismo. Il diario alterna così pagine di giudizi sferzanti e furibondi e la puntigliosa raccolta di notizie grandi e piccole sul clima politico italiano: notizie che vengono dai giornali ma soprattutto dalle conversazioni e dalle corrispondenze di una vasta cerchia di amici, da Sforza ad Amendola, da Albertini a Fortunato, da Ojetti a Modigliani.
Tenuti in maniera discontinua ma frequente, i diari di Albertini sono raggruppabili in quattro nuclei fondamentali. Il primo comprende gli anni 1907-9 e 1913-14, dove prevale l'impegno di direttore del "Corriere", a contatto quotidiano con i problemi della macchina del giornale e in relazione con politici e scrittori (memorabile, ad esempio, il ritratto di D'Annunzio a corto di soldi); il secondo (1915-16) è quello della guerra, nella quale Albertini giocò un ruolo importante di sostenitore di Cadorna; il terzo è il dopoguerra (1919-20), dove è rilevante soprattutto il diario della Conferenza politica di Washington, dove Albertini si recò come membro della delegazione italiana; il quarto (1922-1923) è la cronaca dell'avvento del fascismo.
Taviani, ministro della Difesa dall'agosto 1953, visse da vicino la fase finale della questione di Trieste; il suo diario offre in presa diretta, e con il corredo di documenti inediti, la cronaca giorno per giorno di quel periodo che precedette il ritorno della città all'Italia. Accanto alla questione di Trieste sono però registrate nel diario altre vicende cruciali dell'Italia di allora: le trattative del CED (Comunità Europea di Difesa), il caso Pisciotta, il caso Montesi con le sue ripercussioni nella DC sicché il libro si presenta come una testimonianza ad ampio raggio su un anno cruciale e denso di avvenimenti del nostro dopoguerra.
Dopo un'introduzione che ricorda il precoce apprendistato antifascista dell'autore nella seconda metà degli anni Trenta, allorché dopo la laurea prende a collaborare con l'ISPI, il volume è diviso in due parti: la prima riproduce, integrandolo con inserti narrativi ed esplicativi, il diario tenuto da Serra nella campagna d'Africa fra l'autunno del 1941 e l'estate del 1942. In Italia, dove torna per essere rimasto ferito nel maggio, continua l'altra guerra di Enrico Serra; ripresi i contatti con gli ambienti antifascisti dell'ISPI, Serra è nei mesi della Resistenza tra i collaboratori più stretti di Ferruccio Parri e può così fornire testimonianze su aspetti ed episodi salienti della lotta di liberazione.
Si tratta di un dossier venuto di recente alla luce tra le carte di Sturzo: una busta di lettere (1928-1932) con l'enigmatica annotazione di suo pugno "non spedite". Il curatore Gabriele De Rosa, avanza l'ipotesi che si tratti in realtà di finte lettere, di un espediente letterario che consentiva a Sturzo di parlarsi a cuore aperto, come in una sorta di diario. La raccolta si compone di tre gruppi di lettere scritte durante l'esilio: un fascicolo di 25 lettere indirizzate a Barbara Carter, sua segretaria e traduttrice, e ad alcuni esponenti politici cattolici; un fascicolo di 34 lettere dirette a un sacerdote non identificato di nome Giovanni; un gruppetto di 4 lettere alla Carter che formano una sorta di breviario spirituale.