L'ora d'arte, che in tanti vorrebbero cancellare dai programmi scolastici, dovrebbe invece essere la più importante di tutte. Perché l'ora d'arte serve a diventare cittadini, a divertirci e commuoverci. Serve a imparare un alfabeto di conoscenze ed emozioni essenziali per abitare questo nostro mondo restando umani. Dalle mura degli etruschi ai writers contemporanei, passando per Michelangelo, Raffaello, Velézquez e Goya, Tomaso Montanari dà voce a quadri, sculture e graffiti e ci racconta così il fondamentale ruolo civile che, oggi più che mai, la bellezza è chiamata a ricoprire. Nelle sue parole, rigorose e coinvolgenti, la storia dell'arte non assomiglia al manuale dei grandi nomi che dobbiamo venerare «perché sì», ma è l'impasto delle nostre vite quotidiane. In queste pagine Giuseppe regge Gesù appena nato, in uno schizzo del Guercino, non come fosse un santo ma con l'imbarazzo e la paura di un qualunque goffo neopapà. Paolo III ritratto da Tiziano perde la sua imponenza, rivelandoci tutto l'orrore che da sempre si accompagna al potere. E in uno sguardo colto da Botticelli ritroviamo l'infinita malinconia che si portano dietro i migranti, costretti a fuggire e privati ovunque della libertà.
Ci sono cose che non fareste mai. Cosi dite: né ora né mai. Sprecare una fruttuosa domenica pomeriggio negli studi di Cinecittà per partecipare a una trasmissione televisiva, per esempio. Sgomitare in autogrill durante l'esodo delle vacanze. Mettersi in coda per il giro della morte sulle montagne russe e spendere un intero stipendio sotto il giogo di figli ipnotizzati. Affrontare il pigia-pigia per l'ultimo cinepanettone, quello che vanno a vedere tutti, quello che incarna l'animo dell'italiano medio e trovarsi li con tanti italiani medi a sorbirsi l'ennesimo girovagare degli equivoci. E poi succede che vi ritrovate dentro le cose che non fareste mai. A tutti, prima o poi, succede. "E il momento in cui ci si chiede se ci si sente un po' stupidi. E la risposta non è: no. La risposta è: si. Ma questo si è comprensivo e caloroso, suggerisce un diritto a essere un po' stupidi qualche volta nella vita. E a lasciarsi andare". Francesco Piccolo ci porta con sé alla scoperta di un paese, il nostro, dove i cliché stereotipati che etichettano precisi gruppi umani non hanno "diritto di cittadinanza". Perché non può esistere un "noi" e un "loro".
La Scrittrice è a Buenos Aires con Michele. Il pretesto è attraversare la città di Borges, del tango, delle bistecche e di Maradona; la realtà è che la loro storia sta per precipitare e questo viaggio è un tentativo di salvare il salvabile. Se il viaggio è un pretesto, il libro però è altro ancora. È il racconto di uno spaesamento, di un senso di estraneità esistenziale, è il racconto di un luogo, che non è Buenos Aires e neppure Napoli, ma in qualche modo le comprende entrambe, è il luogo dell'esperienza e della memoria. Con una scrittura immediata che chiama direttamente in causa il Lettore, Valeria Parrella ci precede e ci spiazza, eleggendoci complici delle sue strategie. E ci seduce con un romanzo inquieto d'amore e di protesta.
Maurizio ha dieci anni e non vede l'ora che comincino le vacanze. Per lui l'estate significa stare dai nonni a Crabas: lì ogni anno ritrova Franco e Giulio, fratelli di biglie, di ginocchia sbucciate e caccia alle libellule, e domina con loro un piccolo universo retto da legami che sembrano destinati a durare per sempre. Ma nell'estate del 1986 qualcosa di imprevedibile incrinerà la loro infanzia e mostrerà a tutti, adulti e ragazzi, quanto possa essere fragile il granito delle identità collettive. Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c'erano solo fratellanze. In quella crepa della comunità l'estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi. In questo racconto insieme comico e profondo, la penna inconfondibile di Michela Murgia ci regala una storia di formazione in cui il protagonista scopre - insieme al lettore - cosa significa dire "oi". "Non era un pronome come negli altri posti, ma la cittadinanza di una patria tacita dove tutto il tempo si declinava così, al presente plurale".
Raccontare l'11 settembre, o l'ascesa della tennista Tracy Austin, analizzare l'ironia di Kafka e il suo influsso sulla mentalità degli studenti universitari, riflettere sul tragico destino delle aragoste, recarsi agli Oscar del cinema porno. Dieci anni in ascolto della voce profonda degli USA: da un talk-show reazionario condotto da un presentatore che si veste appositamente per venire bene in radio, fino alla carovana mediatica che insegue un avversario di Bush nelle primarie repubblicane.
Questa è la storia di uno sterminio di massa conosciuto come Aktion T4. T4 sta per Tiergartenstrafte numero 4, un indirizzo di Berlino. Durante Aktion T4 sono stati uccisi e passati per il camino circa trecentomila esseri umani classificati come "vite indegne di essere vissute"... Cominciarono a morire prima dei campi di concentramento, prima degli zingari, prima degli ebrei, prima degli omosessuali e degli antinazisti e continuarono a morire dopo, dopo la liberazione, dopo che il resto era finito". Con uno scritto di Mario Paolini.