Romanzo di tutta una vita, l'inedito "Timor sacro" di Stefano Pirandello, ripercorsa, per obliqui e misteriosi rimandi autobiografici, attraverso la narrazione di "due vite a specchio", quella dello scrittore Simone Gei, irretito nella stesura di un'opera di esaltazione del fascismo, e quella dell'albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe. Fra fedeltà alla memoria e trasfigurazione letteraria, in un sottile, turbinoso giuoco di rinvìi, ribaltamenti, sovrapposizioni, con i componenti della tormentata famiglia Pirandello e gli amici più intimi di Luigi e di Stefano, s'accampano esponenti di primo piano della politica e della cultura. In un'alchemica combinazione di storia individuale e collettiva e di artificio narrativo, il romanzo "Timor sacro" mescida vagabondaggi affabulatori con episodi realmente accaduti, lumeggiandone aspetti controversi, il consenso dilatato, la proclamazione dell'impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Dispiegandosi su un doppio registro, interiore ed esteriore, "Timor sacro" è insieme serbatoio di verità e mascheramento della realtà. Pervaso dall'ansia di un'irraggiungibile perfezione, lo scrittore Simone-Stefano consente al lettore di sorprenderlo nell'affanno della creazione. "Timor sacro" si dipana infatti lungo il resoconto dell'arduo farsi e disfarsi del romanzo per tentativi esaltanti ed esiti deludenti...
Perché Elhanan spinge suo figlio Malkiel ad abbandonarlo a New York, malato e vecchio, per andare a studiare lapidi tombali in una remota cittadina della Romania? Quale segreto dovrà scoprire? Quali fantasmi dovrà incontrare? Malkiel è cresciuto in America, fa il redattore al "New York Times", ha il cuore invaso da una bellissima e battagliera giornalista: per essere felice non dovrebbe far altro che vivere un giorno dopo l'altro, dimenticando di avere quarant'anni più tremila, i tremila anni di sofferenza del popolo ebraico. Ma Elhanan, colpito da una malattia incurabile che gli sta cancellando dalla mente ogni ricordo, domanda al figlio di ricordare al suo posto. E Malkiel parte verso il passato. Nel Vecchio Mondo condurrà una strana, magica inchiesta, in cui oggi e ieri si intrecciano sulla sua strada, come se i frammentari racconti di Elhanan e le tracce della sua esistenza precedente gli tessessero intorno uno smagliante arazzo tridimensionale che trasfigura la realtà, arricchendola. Delicato e toccante, questo romanzo è al tempo stesso un'indagine sul rapporto che lega un padre a suo figlio e uno straordinario viaggio nel tempo e nello spazio, alla ricerca della risposta a un dubbio metafisico: può un uomo far sua la memoria di un altro?
Con "Roma amara e dolce", nostalgico viaggio nella memoria autobiografica, Ercole Patti ritorna agli episodi più incisivi del suo itinerario esistenziale, maturato a ridosso di avvenimenti storici rilevanti: l'anelito alla libertà avvertito fin dall'infanzia, le prime acerbe prove, la consapevolezza della vocazione letteraria il giornalismo e l'esercizio narrativo nella capitale feconda di sollecitazioni. Roma è sede delle testate che contano, luogo d'aggregazione culturale e d'incontri prestigiosi: de Chirico, Bartoli, Spadini, Cardarelli, Broglio, Barilli, Soffici, Pirandello. Del caffè Esperia, della terza saletta del caffè Aragno, del caffè Greco, del Teatro degli Indipendenti di Bragaglia. Del mondo del cinema in fermento. Ma pure antro nero dove covano e si moltiplicano le vessazioni del regime. Di convinto sentire antifascista, Ercole Patti subisce la detenzione a Regina Coeli sebbene abbia celato il suo dissenso dietro un sorriso disincantato e un apparente disimpegno. Scrittore diarista, sul filo dell'immaginazione, del sottile umorismo, della dissipazione erotica. "Scrittore di cose", come attesta il rigore cronachistico e l'aderenza alla realtà del vissuto. Non esaurendosi il desiderio di ricercare schegge di felicità assopita.
Pubblicato nel 1925, "I falsari" è un atto d'accusa nei confronti della letteratura per la mancanza di coraggio, per lo scarso approfondimento, per l'oscura coscienza, per essere complice nella costruzione della menzogna sociale, dello psicologismo facile e assolutorio. Un'autentica aggressione al romanzo, che l'autore sviluppa all'interno di un romanzo. Ne sono protagonisti un gruppo di giovani e adulti, un intrico di personaggi e destini, partecipi del malessere e dell'ansia del tempo tra le due guerre mondiali.
Scritta nel 1891, pochi mesi prima della morte del suo autore e pubblicata postuma, "Billy Budd" è una storia di mare ambientata su una nave da guerra inglese alla fine del Settecento. William Budd, mozzo ventenne, ingiustamente accusato dal maestro d'armi Claggart, viene impiccato, ma rimarrà nella memoria degli altri marinai con la vivida forza dei martiri. Come sempre in Melville, la narrazione si spinge molto al di là dei semplici fatti, e la vicenda, potente e assoluta, si configura come simbolica rappresentazione di una condizione esistenziale in cui il bene e il male, il giusto e l'ingiusto hanno la stessa forza di realtà: la verità del racconto, che è anche quella della vita, accarezza la purezza della vittima innocente, l'austero rigore del capitano De Vere (che condanna Billy pur riconoscendolo senza colpa), ma anche la criminosa follia del mefistofelico Claggart. L'ampia introduzione di Claudio Gorlier chiarisce contenuti e simboli di questo racconto straordinariamente "moderno", e la magistrale traduzione di Eugenio Montale restituisce intatta a questo capolavoro la sua perfezione poetica.
Nella storia della famiglia Stassos, nei cento anni che i suoi componenti vivono sul suolo americano alla ricerca di una felicità ordinaria, Michael Cunningham intreccia i fili di differenti identità, di mondi diversi destinati a entrate in collisione con gli altri e soprattutto con se stessi. Un universo di destini apparentemente liberi di seguire il proprio corso, e invece votati, quasi per diritto di nascita, a muoversi, esplorare, provare gioie laceranti e salvifici dolori.