"Devo questa leggenda a un vecchio mendicante che si chiamava Shmaike. Era uno storpio, ma, per non so quale ragione, lo chiamavamo "Shmaike il lungo". Era davvero strano: se ne stava zitto per tutto l'anno e cominciava a parlare solo durante la settimana che precedeva la Pasqua. Allora raccontava una sola storia - sempre la stessa - che diceva di aver ereditato dalla zio, uno scapolo sfaccendato che nessuno prendeva sul serio. A questo zio la storia era stata narrata dal nonno materno, Rabbi Issachar, un vero studioso, che l'aveva attribuita al suo Maestro, il famoso Rabbi Ephraim, che si diceva avesse posseduto i poteri del Maharal, il celebre rabbino miracoloso di Praga, ma che si fosse rifiutato di usarli per paura di sbagliare...".
Gregor, il protagonista di questo romanzo, deve affrontare quattro prove, una per stagione, come quattro sono le stagioni della vita. Il suo è un percorso concentrato in un solo tragico anno che assume i caratteri del viaggio iniziatico: l'incontro con "il maestro", il nascondimento del proprio io per guardare e comprendere l'altro, la lotta attiva per cambiare il mondo, la memoria che si tramuta in saggezza. Nel suo viaggio, Gregor deve affrontare e sconfiggere il male e la morte. La Shoah è un'esperienza estrema che non lascia vie di fuga. Gregor lo comprende subito e con coraggio e animo puro lotta per la vita e la dignità umana. In questo romanzo ritroviamo le domande fondamentali che Elie Wiesel si è posto per tutta la sua vita di testimone della Shoah. Un romanzo che fa riflettere, in un continuo alternarsi di desolazione e speranza, frustrazione e fiducia nella capacità di affermare la nostra umanità.
"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac)
Giugno 1967, Muro Occidentale di Gerusalemme. All'indomani della Guerra dei sei giorni, Wiesel vede sfilare migliaia di uomini e donne, "in uno strano raccoglimento". E confusi tra quei volti prendono vita i personaggi di questo romanzo, composto di getto in quell'anno, come un impetuoso flusso di coscienza nel quale si mescolano la realtà e la finzione, la memoria e il desiderio. "I pazzi muti e i mendicanti sognatori, i maestri e i loro discepoli, i cantori e i loro alleati, i giusti e i loro nemici, gli ubriachi e i cantastorie, i bambini morti e immortali, sì, tutti i personaggi di tutti i miei libri mi avevano seguito per fare atto di presenza e testimoniare al mio posto, attraverso di me!". In un ritmo incalzante, si intrecciano le memorie della diaspora, la tragedia della Shoah, i combattimenti per Gerusalemme. Sullo sfondo la grande tradizione spirituale ebraica e una Gerusalemme crepuscolare, il cui tramonto "brusco, selvaggio, stringe il cuore per poi calmarlo".
Yedidyah è un giovane giornalista che lavora a New York nella redazione di un quotidiano. La sua specialità è la critica teatrale, è sposato con un'attrice ed è molto ben introdotto nel mondo del teatro newyorkese. Nessuno è più bravo di Yedidyah nel raccontare i successi effimeri, le glorie dimenticate, il fascino racchiuso nella nascita di una nuova stella e la malinconia che colora il suo crepuscolo. Ecco perché rimane estremamente sorpreso quando il suo capo gli affida un compito molto diverso dal solito: occuparsi della cronaca del processo di Werner Sonderberg, un giovane tedesco residente negli Stati Uniti. È stato accusato dell'omicidio di Hans Dunkelman, un suo lontano zio, trovato morto in fondo a un crepaccio nei monti Adirondack. Di fronte al giudice Sonderberg si è dichiarato colpevole e insieme non colpevole, scatenando l'attenzione morbosa di tutti i media. Perché Hans Dunkelman, che pareva solo un distinto anziano gentiluomo europeo, nascondeva molti segreti, riguardanti la sua vera identità e il suo coinvolgimento nella tragedia dell'Olocausto. Segreti che lui e il nipote hanno dovuto affrontare sull'orlo di quel crepaccio. Segreti che lo stesso Yedidyah ha paura di affrontare nel suo articolo, perché lo riportano indietro nel tempo, alla storia della sua famiglia, a una cicatrice che il tempo non ha ancora sanato. E che forse mai potrà sanare.
"Ma, nel momento del cheshbon hanefesh, facendo il bilancio della mia vita, devo riconoscere che i miei veri maestri, per guidarmi e per spingermi avanti, mi attendono non in luoghi prestigiosi e lontani ma nelle piccole aule piene d'ombre e di canti dove un ragazzo al quale assomigliavo studia ancora oggi la prima pagina del primo trattato del Talmud, sicuro di trovarvi tutte le risposte a tutte le domande. Meglio: tutte le risposte e tutte le domande. Perciò, spesso per me l'atto di scrivere non è altro che il desiderio inconfessato o cosciente di incidere alcune parole su una pietra tombale: alla memoria di una città scomparsa, di un'infanzia esiliata e di tutti coloro che ho amato e che se ne sono andati prima che abbia potuto dirglielo."
Un libro destinato a lasciare, anche in Italia, così com'è accaduto in tutti i Paesi in cui è stato pubblicato, un segno indelebile. Un dialogo serrato su temi che toccano il cuore della fede e il senso dell'essere Cristiani o Ebrei di fronte all'immane tragedia dell'olocausto. Perché Dio è rimasto in silenzio di fronte al dolore del popolo eletto? Perché lo stesso ha fatto la Chiesa? E se ad Auschwitz, a morire non fosse stato il popolo ebraico ma l'essenza stessa del cristianesimo? Un libro da leggere e meditare, una riflessione profonda e accorata sul senso della memoria e della sofferenza vissuta alla luce di Dio e con Dio.
A New York, in un’afosa domenica di luglio, un uomo viene investito da un taxi e resta gravemente ferito. Risvegliatosi dal coma in un letto d’ospedale, assiste, spettatore indifferente e quasi ostile, ai disperati tentativi di guarirlo da parte dei medici e della donna che lo ama. Se il presente — il mondo inconsapevole dei vivi, con la sua promessa di serenità, l’amore di Kathleen, la benevola curiosità di un giovane dottore, l’affetto degli amici — vuole imporgli le sue ragioni, un passato di distruzione e morte lo reclama a sé e pretende i suoi diritti. In un caleidoscopio di ricordi, in cui all’infanzia nel villaggio ebraico si mescolano le esperienze della guerra e del dopoguerra, sfilano dinanzi a lui i volti delle vittime, gli uomini e le donne annientati durante l’Olocausto. Le voci dei morti, eco di un mondo scomparso per sempre, risuonano ben più reali e forti di quelle dei vivi, imponendogli l’imperativo della memoria, il dovere della testimonianza.
Vivere è una colpa, perché vivere significa dimenticare, significa accettare che, anche dopo Auschwitz, siano possibili la felicità e l’amore. In questo breve romanzo, teso ed essenziale, Elie Wiesel ripropone la lotta tra le ragioni della memoria e le ragioni della vita, la tragedia di chi è sopravvissuto e non riesce a perdonarselo.
Palestina, una calda sera d'autunno, un anno imprecisato tra la fine della Seconda guerra mondiale e il riconoscimento dello Stato di Israele. Là resistenza ebraica lotta in Terra Santa contro il mandato britannico. Gli inglesi impiccheranno all'alba il prigioniero David Ben Moshe, i clandestini ebrei risponderanno giustiziando a loro volta un ostaggio. L'ingrato compito tocca al giovanissimo Elisha, emigrato in Palestina dopo aver vissuto l'inferno dei lager. Durante la notte che precede l'esecuzione, la mente del ragazzo è visitata dai ricordi e vive il dramma di un'intera civiltà e di tutto un popolo...
Doriel Waldman, ebreo polacco che vive a New York, è un uomo solo, prigioniero dei ricordi e della memoria. L’Olocausto è una ferita insanabile nel suo passato. Vorrebbe dimenticare, ma non ci riesce. Dimenticare le fughe, i nascondigli, l’esistenza clandestina in un piccolo villaggio polacco, nascosto insieme al padre nel granaio di un contadino. Dimenticare la madre, una donna troppo bella, una prigione per i figli, che ha scelto la lotta partigiana trascurando la famiglia. Dimenticare i fratelli, vittime dei nazisti. Dopo la salvezza, la vita di Doriel è stata un continuo peregrinare, dalla Polonia all’Asia, militante in varie organizzazioni di aiuto ai diseredati, e poi viaggi di studio in Israele, in Africa. Insonne, solitario. Le tappe di un’esistenza che descrivono il percorso di un esilio.
Ma adesso ha deciso di fermarsi e mettere la sua vita in mano a una donna. È la psicoanalista Thérèse Goldschmidt. Lo prende in cura e accoglie le sue ossessioni e i suoi fantasmi, i sogni e gli incubi, le cose mai dette e le speranze. Forse non gli restituirà la pace del cuore, ma potrà curare i suoi ricordi.
Un romanzo magistrale, insieme racconto di vita e meditazione, dove, mescolando memoria e invenzione, Elie Wiesel approfondisce i temi chiave della sua vita di uomo e di scrittore: la lotta incessante tra memoria e oblio, la ricerca di una patria e di una identità, la responsabilità di essere sopravvissuti e il dovere di ricordare, in modo che l’orrore non si ripeta. Mai più.