il contenuto
A chi spetta il diritto di decidere in materia di architettura? Come assicurare questo diritto alle persone cui esso spetta? Come farlo in un mondo che va verso una povertà crescente? Come sopravvivere in tale mondo? Sono queste le domande a cui Yona Friedman cerca di rispondere nel presente libro, che non vuole lanciare l’ennesimo attacco all’architettura moderna, ma tentare di proporre soluzioni che rispettino le condizioni di sopravvivenza della specie umana. Di fronte agli attuali problemi di impoverimento e di esaurimento delle scorte diventa indispensabile un’architettura «povera» che riscopra i valori naturali e le tecniche compatibili con un modo di vita più sobrio. Risponde a queste esigenze l’architettura di sopravvivenza. Essa, a differenza dell’architettura classica che mira a trasformare il mondo per renderlo favorevole all’uomo, cerca di limitare le trasformazioni conservando solo le più necessarie perché l’uomo sia in grado di sopravvivere in condizioni sufficientemente favorevoli. In altre parole, l’architettura classica trasforma le cose per adeguarle all’uso umano, mentre l’architettura di sopravvivenza prova a trasformare il modo in cui l’uomo impiega le cose esistenti.
l'autore
Yona Friedman è nato a Budapest nel 1923. Vive e lavora a Parigi. Ha insegnato presso diverse università americane e collaborato con le Nazioni Unite e l’Unesco. Tra i suoi numerosi libri, in traduzione italiana: Per un’architettura scientifica (Officina, Roma 1971); L’architettura mobile (Edizioni Paoline, Alba 1972); Utopie realizzabili (Quodlibet, Macerata 2003).
Mai come adesso l'architettura è di moda. Nelle riviste, nei quotidiani, in televisione le opere delle super-star dell'architettura sono oggetto della curiosità di lettori che prima erano completamente digiuni in materia. Eppure mai come adesso l'architettura è lontana dall'interesse pubblico: incide poco e male sul miglioramento della vita della gente, a volte ne peggiora le condizioni dell'abitare. Questo accade perché l'architettura è diventata un gioco autoreferenziale, incentrata sulla "firma", sulla genialità del singolo architetto, genialità che è quotata nella borsa della moda al pari di un qualunque brand. Gli architetti si rifiugiano in una artisticità che li esclude da qualunque responsabilità. Purtroppo spesso viene affidata loro la trasformazione di interi pezzi di città, trasformazioni che spesso compiono con incompetenza, superficialità e convinti che si tratti di un gioco formale. Ma le città funzionano diversamente: sono il territorio profondo su cui agisce l'inconscio collettivo, sono il luogo delle appartenenze e dei conflitti. Questo libro invita ad abbandonare le "archistar" al loro egoismo e ad accettare che l'architettura abbia esaurito la sua funzione. Oggi c'è bisogno di altro, soprattutto nella situazione di emergenza in cui le città e l'ambiente rischiano di diventare sempre più inabitabili.