L’arte di fondere campane, ancora oggi custodita da poche famiglie, ha origini antiche. La ricerca condotta da Elisabetta Neri si propone di mantenere la memoria di questa tradizione, nei suoi aspetti tecnici e socio-antropologici, tramite i nuovi dati forniti dall’archeologia.
L’interesse archeologico per il tema nasce negli anni Settanta, con i primi rinvenimenti di fornaci per campane e si rinnova negli anni Ottanta e Novanta, grazie ai numerosi scavi in edifici di culto che hanno restituito impianti produttivi, spesso di difficile interpretazione.
L’accurata rilettura dei trattati medievali e postmedievali e il riesame dei resti archeologici delle officine per la fusione di campane guidano a scoprire due tradizioni operative fissate nella scrittura a distanza di tempo, ma praticate fin dall’altomedioevo. L’esistenza di diverse tecniche antiche in un’arte così settoriale è probabilmente riconducibile al diverso retroterra etnogeografico e culturale in cui queste nascono e si sviluppano. Proprio per poter ricavare dai resti archeologici il riconoscimento della tecnica seguita e per favorire una registrazione degli indicatori viene proposto un modello di schedatura delle fornaci. I dati archeologici, infatti, se puntualmente raccolti, forniscono informazioni preziose sull’ambiente che ospitava l’attività e sugli attori di un processo che talvolta assumeva le sembianze di un rito allo stesso tempo religioso e sociale.
Elisabetta Neri (1979) è laureata in Lettere classiche, con una tesi in Archeologia Medievale, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove frequenta la Scuola di Specializzazione in Archeologia e collabora con l’Istituto di Archeologia.
Ha studiato la produzione di campane nel medioevo e a questo tema ha dedicato interventi di scavo, relazioni a convegni e pubblicazioni.