Anton Cechov diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. È un principio fondamentale della narrazione: romanzesca, cinematografica, teatrale. Ma non è affatto un artificio di scena: è semplicemente la realtà. Perché, dati alla mano, nella vita accade esattamente la stessa cosa: se c'è una pistola è assai probabile che sparerà; e molte pistole molto spareranno. Il più delle volte nella direzione meno desiderata. Il mantra della "difesa facile", dei "cittadini con la pistola", non è che illusione e imbroglio, un percorso illogico e irrazionale, che - nella realtà dei fatti e dei numeri, qui esposti in tutta la loro disarmante evidenza - ci rende più nudi, più insicuri, più vittime. Succede in ogni luogo e in ogni ambito in cui la ricetta è stata cucinata. Abbiamo impegnato secoli di civiltà per guadagnare un valore fondante: lo Stato ha il diritto e il dovere di assicurare la difesa dei cittadini e di provvedere alla loro sicurezza. Non si può che esigerlo. Rinunciarci, per propugnare il "fai da te", è tanto una regressione quanto una follia. Lo slogan dispensato con rassegnata leggerezza: "Visto che lo Stato non ci difende" non è che illogica e controproducente calata di braghe. Non possiamo che tornare a sottoscrivere ciò che ancora oggi è scolpito sul cornicione della questura di Lecce: "Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nessuno contro lo Stato". Rifuggendo da illusorie scorciatoie. Chi è di destra, poi, tenga a mente che la difesa "fai da te" non è di destra affatto. E tutti quanti, che una forma compiuta di privatizzazione delle armi gli italiani la conosco già fin troppo bene: si chiama mafia.
"Apriti cielo". Le parole di Flavio Briatore rivolte a un gruppo di imprenditori e amministratori locali sono risuonate come se avesse bestemmiato in chiesa. Eccola l'Italia che arranca e che sprofonda con tutti i suoi tesori artistici e paesaggistici, l'Italia che non riesce a sfruttare e valorizzare le innumerevoli risorse che la natura e la storia le hanno donato. Perché serve a poco vantarsi di avere il maggior numero di siti Unesco rispetto a qualunque altro Paese, se poi da quell'immane patrimonio ricavi la metà della Francia. Perché gli stranieri che vengono a trovarci passano sempre meno tempo da noi, e lasciano sempre meno soldi. Però guai a parlare di lusso, che non fa pugni con le vacanze di massa ma ci potrebbe andare a braccetto. Guai a parlare di grandi manifestazioni, bloccate per impedire gli affari dei cosiddetti palazzinari. Guai a parlare di grandi opere, che dovrebbe essere un simbolo per collegare, unire, accorciare le distanze, invece diventano l'emblema del «non siamo in grado di realizzarlo». Eccola l'Italia che si arrende ancora prima di combattere, che rimane ferma ai box e che non prova neppure a scendere in pista. Il Paese nel quale la ricchezza e il benessere non sono obiettivo collettivo da raggiungere, un premio del lavoro, ma una colpa da nascondere. L'invidia sociale come malattia mortale dell'italiano, come diceva Indro Montanelli. Ma alla fine i conti non tornano, per tutti, se nel turismo l'Italia non ha che un terzo degli occupati diretti della Germania. E se il nostro Mezzogiorno, con i suoi innumerevoli patrimoni dell'umanità, più di tutto il Regno Unito messo insieme, incassa la miseria di 3 miliardi di dollari contro i 45 dell'Inghilterra. Il turismo, ovviamente, non è che un aspetto di questa analisi, ma pure una perfetta cartina di tornasole Se non è il benessere, l'occupazione, la crescita e, sì, la ricchezza ciò che questo Paese vuole per se stesso, allora «siamo perfetti così», dice Briatore. In caso contrario, bisogna cambiare. E in fretta, perché mentre noi polemizziamo immobili con le nostre deprimenti diatribe sui decimali di PIL, gli altri corrono.
In un'umida notte autunnale, due uomini salgono sul tetto di una casa di Hammamet. Uno è Craxi. L'altro si chiama Umberto. Ha due tatuaggi sul corpo: i cinque punti della malavita sul polso destro e la lettera U appena sopra il pene. È nato in un tugurio alla periferia di Roma. La sera in cui Pasolini viene ammazzato, Umberto c'è. Cresce con la voglia di farsi strada, una voglia che da quelle parti confina con la malavita, dai furtarelli alle rapine, ai traffici di grosso calibro, sempre se riesci a entrarci senza farti ammazzare, perché gira gente che metterà in piedi la Banda della Magliana, come De Pedis e Abbatino. Pezzi grossi. Anche suo zio, però, è un pezzo grosso, comanda la banda della lancia termica che svaligia banche in mezz'Europa, lo chiamano Er Bolero. Ma questo succedeva parecchi anni fa. Prima che accadessero tante altre cose. Prima - ma a volte anche durante - che Umberto diventasse il fotografo di Bettino Craxi, il segretario del partito socialista, il faro della politica italiana. Di più, la sua ombra. L'arma adesso è una Leica, una macchina fotografica pura. Gliel'ha regalata un gangster del clan dei marsigliesi. Da lì in poi, ci sono venticinque anni da raccontare. Perché in quegli anni è successo tutto.
Parte dal racconto di una festa molto speciale, e da un'inchiesta che ha attirato l'attenzione dei media di tutto il mondo - da Newsweek al Washington Post, dalla Cbs al Guardian, dalla Bbc France2, da El Mundo alla Pravda, fino alla tv iraniana -, questo viaggio nel sesso dei preti. Un'impeccabile indagine da undercoverreporter che ha avuto enorme eco e ha provocato la reazione del Vaticano, che in una nota ufficiale del Vicariato di Roma ha invitato i preti coinvolti a "uscire allo scoperto". Proprio in quei giorni caldi, Carmelo Abbate continuava il suo lavoro da "infiltrato" sotto copertura, un lavoro che si è protratto per diversi mesi e dalla Città Eterna si è allargato ad altre città italiane, da Venezia a Palermo, e quindi oltre confine. Il risultato è un reportage ricco di rivelazioni, dialoghi serrati, incontri segreti, testimonianze, a volte dolenti a volte sconcertanti, per un percorso che prende il via dai dintorni del Vaticano e si dipana un po' ovunque, tra vizi privati e pubbliche virtù. Sacerdoti di ogni nazionalità che si dividono tra le stanze di via della Conciliazione e la movida della Roma by night. Esperienze di escort e chat. Seminaristi e suore che vivono di nascosto la propria sessualità, sia etero che omosessuale. Il problema dei figli dei sacerdoti e delle loro madri, che hanno inviato a papa Benedetto XVI un documento segreto per raccontare la loro difficile condizione. Sacerdoti che testimoniano il loro disagio...
Inizia dalla ricca e cattolica provincia veneta, quello viaggio tra gli italiani e il sesso. Un'immersione totale tra i sentieri dove hanno libero sfogo i desideri più nascosti e inconfessabili. Un percorso che ha portato l'autore a camminare soppeso sul filo che separa il lecito dall'illecito. Ciò che è comunemente inteso come morale da ciò che non lo è. Ne viene fuori il racconto inedito, senza filtri né paraventi, di un paese pronto a scandalizzarsi solo quando dietro al buco della serratura, a turno, ci sono gli altri. Il paese che, da sempre, ha eletto a paradigma il principio dei vizi privati e delle pubbliche virtù. In questa storia si scava a piene mani tra i primi, senza mai prendere in giro né se stessi né il lettore. Tra cam girl e club prive, trans e coppie bdsm, sesso libero e giocoso e porno all'amatriciana. Nessuna concessione né ammiccamento ai cliché che affollano il nostro parlare quotidiano. Non ci sono categorie né definizioni pronte all'uso. Qui ci siamo noi. Questo è il racconto degli istinti, delle abitudini sessuali degli italiani scritto e vissuto in prima persona, in un cammino ricco di colpi di scena. C'è una cifra che contraddistingue il lavoro di Carmelo Abbate: quella dell'inchiesta sul campo, della narrazione dal vivo. Il sapersi calare davvero nei panni dei protagonisti delle sue storie. Anche in questo caso, non ha lasciato nulla di intentato per raccontare personaggi, situazioni e retroscena di un universo mai esplorato così nel profondo.
Hai voglia a dire che per contrastare l'inefficienza italiana bisogna fare le riforme. Lo ripetono tutti, incessantemente. Ma poi le riforme, quelle vere, non si fanno. Colpa della politica? Senz'altro. Ma quella raccontata in queste pagine è un'altra storia. Corporazione per corporazione, questa è un'odissea illuminante tra figli di, salotti buoni, intrecci perversi. Perché se le cause dell'inefficienza italiana hanno mille nomi - gerontocrazia, nepotismo, corporativismo... - questo viaggio nella cupola dell' "Italia che lavora" fa finalmente anche i cognomi: professionisti, imprenditori, uomini di finanza, docenti universitari, baroni della medicina. Conoscete Giacomo Leopardi? Non il poeta, un suo omonimo, meno famoso ma sicuramente più potente: l'uomo che alla guida dell'Ordine nazionale dei farmacisti ha fatto il diavolo a quattro appoggiando la serrata dei camici bianchi. Avete mai sentito parlare di Dino Abbascià, il Leone di Bisceglie? Difficile. Eppure è lui che guida la fronda dei commercianti alimentari. E che dire di Riccardo Pedrizzi, il superlobbista delle assicurazioni? O di Giuseppe Roteili, il re della sanità privata? E di cento altri sconosciuti ai più? Come funziona il partito degli appalti? E perché gli aerei non volano e i treni non arrivano in orario? Allineando vicende che fanno indignare e storie che ci costringono a sbellicarci di amare risate, questa inchiesta dimostra perché, con tutta evidenza, la salvezza non giungerà dalla tanto celebrata società civile.