Frammenti rilevanti della nostra storia vivono nelle lapidi disseminate sui muri delle città, espressioni del potere dedito a costruire una memoria pubblica ma anche segni fragili destinati spesso all'invisibilità. Marmi, targhe e cippi sono le pagine di pietra di un sapere esposto poco conosciuto e poco interpretato, ma appassionante patrimonio da indagare per la storiografia. Proprio su questa esplorazione si fonda la presente ricerca, che sviluppa un'analisi puntuale delle lapidi ebraiche fiorentine attraverso la particolare prospettiva delle guerre del Novecento e della Shoah. Sono messi a fuoco i capitoli decisivi della storia e della memoria di una comunità vivace come quella locale, ma anche le complesse interazioni tra minoranza ebraica e società maggioritaria nelle tormentate vicende del secolo scorso.
"Sono il numero A 5384 di Auschwitz Birkenau. Dico sono e non sono stata: lo sono ancora perché il tempo dei Lager si prolunga in una parabola che i programmatori nazisti non avrebbero mai potuto immaginare. Come tempo massimo della vita dei loro «Arbeit Stücke» avevano stabilito nove mesi. Il periodo di cui ha bisogno la natura per creare un nuovo individuo era stato programmato dagli esperti in Lager anche come quello necessario (al massimo) per distruggerlo. Quando dico «sono» e non «sono stata» - e come potrebbero dirlo i compagni che sono stati a Dachau, a Mauthausen, in qualsiasi altro campo di concentramento - mi riferisco a questo fatto: il Lager vive ancora dentro di noi. In un certo senso, siamo ancora gente di Lager." (Liana Millu)