"Le parole usate dai papi sono importanti; tanto più in quanto il loro modo di parlare non è sempre lo stesso. Il linguaggio con cui il pastore della Chiesa di Roma si rivolge all'umanità nei momenti difficili è sempre stato espressione non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa occupava nel mondo in quella data epoca; ed è un indizio estremamente rivelatore delle diverse modalità, e della diversa autorevolezza con cui di volta in volta i papi si sono proposti come leader mondiali. In queste pagine faremo un viaggio attraverso le parole usate dai papi nei secoli. Ovviamente la Chiesa esiste da duemila anni e nel corso di questi due millenni ha prodotto innumerevoli parole; non si tratta di renderne conto in modo esaustivo o anche solo sistematico, ma piuttosto di proporre uno dei tanti viaggi possibili, cominciando dal Medioevo per arrivare fino alla soglia della nostra epoca."
Da cent'anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l'esercito italiano si rivelò all'improvviso così fragile? L'Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell'esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti - contadini o operai - che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell'iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. Un paese retto da una classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver risolto così tutti i problemi. In questo libro Alessandro Barbero ci offre una nuova ricostruzione della battaglia e il racconto appassionante di un fatto storico che ancora ci interroga sul nostro essere una nazione.
Da giovane era stato il figlio ribelle e avventuroso di un padre violento e militarista; amava la musica, suonando e componendo con estro; leggeva instancabilmente, e la conversazione con i filosofi era nella sua giornata la cosa più importante; dichiarava il re «il primo servitore dello Stato» e la «corona un cappello che lascia passare la pioggia». Eppure, in una politica europea già spregiudicata, Federico il Grande inaugurò un cinismo aggressivo, strumento della volontà di potenza entrata - secondo alcuni storici -nei geni maligni dell'Europa futura; era sleale e ingrato, «il malvagio uomo» lo chiamava Maria Teresa d'Austria. Si reputava un philosophe innanzitutto: strano philosophe che disprezzava l'umanità. Figura doppia, contraddittoria, enigma sfuggente, e quindi soggetto ideale per una biografia. Alessandro Barbero - storico, storico militare, scrittore di romanzi storici, curatore di programmi culturali in televisione - parte dal dettaglio della vita quotidiana del monarca prussiano, per condurre il lettore a riflettere su cos'è la grandezza nella storia, e cos'era nel Settecento la grandezza. In un procedere incalzante e pieno di brio, come una conversazione, che rende l'esattezza del saggio seducente quanto un bel racconto.
Atene, 411 a.C. Siamo in campagna, appena fuori dalle porte della città, dove, in due casette adiacenti, abitano due vecchi reduci di guerra, Trasillo e Polemone. Anni prima hanno combattuto insieme nella ingloriosa battaglia di Mantinea, che ha visto gli Ateniesi sbaragliati dagli Spartani, sono sopravvissuti e ora vivono lavorando la terra e senza mai decidersi a trovare un marito per le loro due figlie, Glicera e Charis, che però iniziano a mordere un po' il freno. Per i due vecchi l'unica cosa che conta è la politica. Atene ha inventato la democrazia ma deve difenderla, i ricchi complottano per instaurare la tirannide: anche il vicino Eubulo, grande proprietario che si ritira in una villa poco distante quando le fatiche della vita nella polis richiedono un po' di riposo, è guardato con sospetto. Ma Charis e Glicera pensano che i padri vivano fuori dal mondo: per loro il giovane Cimone, figlio di Eubulo, ricco, disinvolto e arrogante, è un oggetto di sogni segreti. È così che, quando tutti gli uomini si radunano in città per la prima rappresentazione di una commedia di Aristofane, le ragazze violano tutte le regole di una società patriarcale e accettano di entrare in casa di Cimone, lontane dagli occhi severi dei padri. Ma mentre in teatro l'ateniese Lisistrata e la spartana Lampitò decretano il primo, incredibile sciopero delle donne contro gli uomini per invocare la fine di tutte le guerre, la notte nella villa di Eubulo prende una piega drammatica...
"Le parole usate dai papi sono importanti; tanto più in quanto il loro modo di parlare non è sempre lo stesso. Il linguaggio con cui il pastore della Chiesa di Roma si rivolge all'umanità nei momenti difficili è sempre stato espressione non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa occupava nel mondo in quella data epoca; ed è un indizio estremamente rivelatore delle diverse modalità, e della diversa autorevolezza con cui di volta in volta i papi si sono proposti come leader mondiali. In queste pagine faremo un viaggio attraverso le parole usate dai papi nei secoli. Ovviamente la Chiesa esiste da duemila anni e nel corso di questi due millenni ha prodotto innumerevoli parole; non si tratta di renderne conto in modo esaustivo o anche solo sistematico, ma piuttosto di proporre uno dei tanti viaggi possibili, cominciando dal Medioevo per arrivare fino alla soglia della nostra epoca."
Costantino è il primo imperatore cristiano. È il sovrano che si è convertito prima della battaglia di Ponte Milvio, dopo aver visto in cielo la croce con la scritta In hoc signo vinces, e che ha messo fine alle persecuzioni, concedendo libertà di culto ai cristiani. Ma cosa sappiamo realmente di lui? In passato la storiografia diffidava di Costantino, giudicandolo un cinico politicante guidato da calcoli elettorali. Ma dall'ultimo dopoguerra fra gli storici si è diffuso un clima di ammirazione e di ossequio verso il protagonista di quella che molti ritengono la più grande svolta storica mai avvenuta. In questo libro fortemente polemico, Alessandro Barbero ci dice che è impossibile ricostruire con certezza il personaggio di Costantino e che la storiografia recente dà prova di un'inquietante mancanza di spirito critico, sia nei toni celebrativi con cui presenta la figura dell'imperatore, sia nell'ingenuità con cui accetta come autentiche, fonti che meriterebbero un approccio ben più scettico e che, in realtà, se prese alla lettera - lungi dal giovare alla sua immagine - dipingerebbero il profilo poco edificante di un tiranno disturbato.
Atene, 411 a.C. Siamo in campagna, appena fuori dalle porte della città, dove, in due casette adiacenti, abitano due vecchi reduci di guerra, Trasillo e Polemone. Anni prima hanno combattuto insieme nella ingloriosa battaglia di Mantinea, che ha visto gli Ateniesi sbaragliati dagli Spartani, sono sopravvissuti e ora vivono lavorando la terra e senza mai decidersi a trovare un marito per le loro due figlie, Glicera e Charis, che però iniziano a mordere un po' il freno. Per i due vecchi l'unica cosa che conta è la politica. Atene ha inventato la democrazia ma deve difenderla, i ricchi complottano per instaurare la tirannide: anche il vicino Eubulo, grande proprietario che si ritira in una villa poco distante quando le fatiche della vita nella polis richiedono un po' di riposo, è guardato con sospetto. Ma Charis e Glicera pensano che i padri vivano fuori dal mondo: per loro il giovane Cimone, figlio di Eubulo, ricco, disinvolto e arrogante, è un oggetto di sogni segreti. È così che, quando tutti gli uomini si radunano in città per la prima rappresentazione di una commedia di Aristofane, le ragazze violano tutte le regole di una società patriarcale e accettano di entrare in casa di Cimone, lontane dagli occhi severi dei padri. Ma mentre in teatro l'ateniese Lisistrata e la spartana Lampitò decretano il primo, incredibile sciopero delle donne contro gli uomini per invocare la fine di tutte le guerre, la notte nella villa di Eubulo prende una piega drammatica...
"Le Crociate: e cioè l'avventura di quei cristiani che hanno accettato l'appello del papa, sentendone il fascino, e si sono messi in gioco, facendo cose che oggi ci sembrano assai discutibili e che invece a loro sembravano sacrosante. Il fatto è che i musulmani non sono rimasti inerti quando un'orda di barbari sanguinari venuti da chissà dove, per di più miscredenti, è entrata in terra islamica seminando distruzione." Le Crociate, raccontate in modo diretto e brillante da Barbero, sono tremende esplosioni di violenza, forma sui generis di pellegrinaggio, valvola di sfogo per un'Europa sovraffollata; ma sono anche il momento in cui due mondi rivali, che non sanno di avere profonde radici comuni, si incontrano e si descrivono a vicenda.
Il grande Maometto il Conquistatore, nelle stanze del palazzo reale di Costantinopoli appena sottomessa, andava recitando una triste poesia persiana. Trovandosi di fronte all'immensità della sua conquista, il vincitore dell'ultimo basileus non poteva evitare di provare la malinconia della decadenza. Tra il Trecento e il Novecento gli ottomani edificarono un enorme impero incastrato tra Occidente e Oriente, con il chiaro proposito di unire l'Asia e l'Europa. I suoi sultani si credevano i successori di Costantino il Grande e nutrivano il sogno di conquistare la "Mela rossa", cioè Roma probabilmente. La storia dei turchi, a noi sempre presente e insieme misteriosa perché sostanzialmente è stata storia dell'altro, racconta di un'orda venuta dalle steppe asiatiche, che si distende rapidamente nello spazio prima occupato dall'impero d'Oriente, che domina per secoli il Mar Mediterraneo e regna in pace interna su religioni e popoli diversi, protetti e spesso favoriti da un sistema di governo che rivaleggiò fino al Settecento con quello occidentale, apparendo a molti una preferibile alternativa. Ma è anche parte della contesa eterna tra popoli stanziali e nomadi, e parte della storia comune dei popoli i cui paesi oggi finiscono in "stan".
Fra' Salimbene da Parma, il francescano che ha conosciuto papi e imperatori, vescovi e predicatori, e su ognuno ha da raccontare aneddoti, maldicenze e pettegolezzi; Dino Compagni, il mercante di Firenze che ha vissuto in prima persona i sussulti politici d'un comune lacerato dai conflitti al tempo di Dante; Jean de Joinville, il nobile cavaliere che ha accompagnato Luigi il Santo alla crociata, testimone imperturbabile di sacrifici, eroismi e vigliaccherie; Caterina da Siena, che parlava con Dio e le cui lettere infuocate facevano tremare papi e cardinali; Christine de Pizan (si chiamava in realtà Cristina da Pizzano), la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, si è guadagnata da vivere ed è diventata famosa scrivendo libri; Giovanna d'Arco, che comandò un esercito vestita da uomo e pagò con la vita quella sfida alle regole del suo tempo. È possibile incontrare uomini e donne del Medioevo, sentirli parlare a lungo e imparare a conoscerli? È possibile se hanno lasciato testimonianze scritte, in cui hanno messo molto di se stessi. È il caso di cinque su sei dei nostri personaggi; della sesta, Giovanna d'Arco, che era analfabeta o quasi, possediamo lo stesso le parole, grazie al processo di cui fu vittima e protagonista.