Questo volume, primo di due, raccoglie la corrispondenza tra Benedetto Croce e Franco Laterza a partire dal settembre del 1943 sino alla fine del 1948. Lo scambio di lettere inizia all'indomani della scomparsa di Giovanni Laterza, fondatore della casa editrice e protagonista, insieme allo stesso Croce, di un monumentale carteggio svoltosi ininterrottamente dal 1901 al 1943 (già edito da Laterza in 4 volumi). Questa seconda parte, nella quale subentra il figlio di Giovanni, costituisce dunque il naturale completamento e la necessaria integrazione di quella precedente. La corrispondenza si sviluppa nel contesto dei difficili anni del secondo dopoguerra. Dopo l'8 settembre del 1943, con l'insediamento degli angloamericani a Bari, la città diventa un centro nevralgico nelle vicende politiche e militari dell'Italia liberata. Su questo sfondo si afferma con tenacia la volontà di Franco Laterza di continuare con ogni mezzo l'opera paterna. Il ruolo di guida e consigliere da parte di Croce non verrà mai meno e sia pure con toni differenti, più sfumati e meno confidenziali di quelli che avevano caratterizzato il rapporto con l'amico Giovanni, il dialogo prosegue ininterrotto.
Si è soliti ripetere la celebre affermazione di Raymond Queneau che «i popoli felici non hanno storia». Questo sentire comune non solo è storicamente falso ma è il vero risultato del genio elvetico, capace di convincere il mondo di essere un popolo senza storia, giustificando così la propria esistenza come eccezionale, al di sopra delle parti e al di fuori del tempo. In realtà, la Svizzera ha, forse più di molti Stati, un'appassionante storia europea fatta di violenti conflitti che si manifestano nell'attuale eterogeneità del paese. Proprio queste lacerazioni hanno portato nei secoli all'invenzione di una tradizione e di un'identità comuni, di cui la neutralità permanente è progressivamente divenuta il collante. Così un popolo aggressivo e brutale, 'armatissimo' (come scrive Machiavelli) e bravo come nessun altro in Europa a fare la guerra, muta pelle e si immagina come una placida isola di pace. Posta di fronte a decisioni capitali per la sua stessa esistenza, la Svizzera conosce un conflitto per il controllo del passato che diventa il campo di battaglia privilegiato e la posta in gioco essenziale per ipotecare le scelte future. La Svizzera attuale non pare infatti più in grado di uscire dall'immaginario eterno che lei stessa ha creato.
La polvere del mantello di san Martino, il dentino da latte di Gesù Bambino, migliaia e migliaia di frammenti della Vera Croce recuperata da sant'Elena: se scorriamo l'elenco delle innumerevoli reliquie conservate nei nostri santuari e nelle nostre chiese, non possiamo trattenere lo stupore e l'ironia per una 'tipica' testimonianza della superstizione e dell'oscurantismo medievale. Ma se quello delle reliquie può apparire un mondo esclusivamente connesso con l'aspetto devozionale, con la fede e con l'esaltazione del sacro, esplorare le storie a loro legate ci conduce in un inedito mondo fatto di viaggi avventurosi, raggiri, contese teologiche, battaglie campali e rapporti di potere secolari. Basta ricordare l'importanza che hanno per Venezia e Bari le reliquie di san Marco e san Nicola, rispettivamente trafugate da Alessandria d'Egitto e da Myra. Sono storie che vedono protagonisti non solo santi e uomini di Chiesa, ma anche sovrani, condottieri, donne straordinarie, nobili e personaggi minori come pirati, ladri, abili millantatori e tanta povera gente in buona fede. Inseguendo queste storie il lettore sarà trasportato dal palazzo imperiale di Costantinopoli a ciò che resta del Calvario presso Gerusalemme, dal cuore dell'Arabia alla brumosa Britannia, dalle abbazie ai palazzi reali, dalle piccole pievi rurali fino alle cattedrali delle più grandi città d'Europa.
Giudicare: un compito necessario e impossibile. Necessario perché una società non può lasciare senza conseguenze comportamenti incompatibili con la sua ordinata sopravvivenza. Impossibile perché non possiamo mai avere la certezza di riuscire a conseguire la verità. Da questa contraddizione nasce l'esigenza di stabilire un itinerario conoscitivo, il 'processo', ritenuto il metodo meno imperfetto per pronunciare una decisione giusta, che siamo disposti ad accettare pro veritate. Una preziosa e aggiornata riflessione sul processo penale che ne analizza l'irrinunciabile funzione sociale, le scelte epistemologiche qualificanti, gli snodi fondamentali, le distorsioni della sua rappresentazione mediatica.
Un quadro chiaro ed esauriente delle principali correnti della linguistica moderna e dei problemi fondamentali che ne hanno segnato lo sviluppo in un libro diventato un classico. Senza seguire un'esposizione rigidamente cronologica, ma ordinando la materia in modo da far meglio risaltare le tendenze di fondo, l'autore mette in luce i momenti di svolta della storia linguistica, insistendo soprattutto sulle intuizioni teoriche e sui principi metodologici che hanno promosso o guidato l'indagine sul linguaggio tra l'Ottocento e la prima metà del Novecento. Accuratamente dosato nell'esposizione tecnica e nell'analisi concettuale, il libro fornisce un indispensabile mezzo di orientamento non solo ai linguisti ma a chiunque si interessi di problemi del linguaggio.
Le tante dimensioni della storia e la memoria ingannatrice, la crisi del luminoso mondo medievale e l'ingresso in una modernità senza limiti, gli intrecci tra Oriente e Occidente, il legame con Firenze e tante altre città del mondo, i maestri e i compagni di strada, la politica tra nuove e vecchie identità, la tensione tra fede e ricerca della verità: muovendosi ai confini della storia, Franco Cardini rimette in questione molte convinzioni diffuse sul passato e sul presente.
Nel nostro tempo sono tornate in primo piano alcune domande ineludibili che la teoria economica, fin dalle sue origini, ha posto a fondamento della sua analisi: è 'naturale' che gli uomini si dividano in ricchi e poveri? Esiste un criterio razionale che possa giustificare questa divisione? Quali sono le conseguenze di una distribuzione ineguale delle risorse sulla società e sul suo benessere? Qual è il livello massimo di disuguaglianza che possiamo permetterci? Branko Milanovic, uno degli economisti più originali e innovativi del nostro tempo, immagina di porre queste domande a sei dei più influenti economisti della storia: François Quesnay, Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Vilfredo Pareto e Simon Kuznets. Analizzando le loro opere e il loro tempo, Milanovic traccia l'evoluzione del pensiero sulla disuguaglianza, mostrando quanto le teorie siano variate a seconda delle epoche e delle società. In effetti, sostiene Milanovic, non possiamo parlare di 'disuguaglianza' come di un concetto astratto dal contesto: qualsiasi analisi è inestricabilmente legata a un tempo e a un luogo particolari. Così se durante la Guerra Fredda, all'apogeo del welfare state, gli studi sulla disuguaglianza erano passati in secondo piano, oggi, con il trionfo del capitalismo neoliberale, assistiamo a una loro rinascita.
Un poliziesco storico-politico ambientato nell'America degli anni Venti, nella Parigi di "Giustizia e Libertà" e nell'Italia del fascismo trionfante. Al mercato di Arthur Avenue, North Bronx, New York, ha un banco per la vendita di banane un cittadino USA originario della Sardegna, Michele Schirru, alto, spavaldo, capelli castano-chiari, lisci, ravviati all'indietro, la faccia lunga e irregolare, gli occhi celesti, la bocca che inclina al sorriso. Suoi nemici, i connazionali convertiti al fascismo. Nel 1930 - persuaso che il fascismo è Mussolini e che uccidendo il dittatore si abbatte la tirannia - Schirru parte per l'Italia. Ma una spia fascista a New York ne informa l'Ovra. Il suo capo, Arturo Bocchini, risponde al progetto di tirannicidio scatenando una gigantesca caccia all'uomo con vari colpi di scena e ampia mobilitazione di agenti segreti, spie, burocrazia consolare, poliziotti stranieri filo-fascisti, prostitute, apparati statali e ingenti quantità di denaro. La sorte dell'anarchico italo-americano è segnata. Arrestato quando forse aveva già rinunciato all'impresa, è condannato a morte dal Tribunale Speciale e la sua fine, il 29 maggio 1931, è una mostruosità umana e giuridica che fa comprendere quale fu l'essenza del fascismo.
«Capire la Divina Commedia è difficile. Della lingua in cui la scrisse, diventata la nostra soprattutto grazie a lui, Dante sperimentò tutte le possibilità espressive, comprese quelle che sembrano andare al di là dell'umano, sia verso il basso sia verso l'alto, e non è facile seguirlo in questo vertiginoso saliscendi. Poi ci sono i contenuti. Teologia e interpretazione dei testi sacri, filosofia, logica, morale, politica, diritto, letteratura e storia antica, scienza dei numeri e delle misure, musica, ottica, medicina, arte della guerra e della navigazione: non c'è aspetto della cultura antica e medievale di cui Dante non abbia appropriatamente detto qualcosa, nel suo enciclopedico poema. Infine, ci sono i personaggi che popolano l'oltremondo che il Poeta ha costruito. Tralasciando quelli appartenenti al mito o alla storia, e limitandoci a quelli che hanno popolato la cronaca dei tempi di Dante e di quelli di poco precedenti, l'unico motivo per cui continuiamo ad avere memoria dei nomi di Ciacco, Francesca da Rimini, Farinata degli Uberti o Ugolino della Gherardesca è dato dal fatto che i versi scritti da Dante li hanno resi figure immortali: se quei versi non fossero stati scritti, i loro nomi sonnecchierebbero in qualche documento d'archivio o in qualche cronaca medievale. Sì: capire la Commedia è veramente difficile. Per questo ho scelto i versi più significativi, curiosi o sorprendenti dei cento canti di cui si compone e li ho distribuiti in 114 presentazioni (per qualche canto ho avuto bisogno di qualche presentazione in più). Ho cercato di spiegare quei versi parola per parola, senza dare niente per scontato, collegando i fatti con gli antefatti. In questo modo, leggendoli canto dopo canto, farete lo stesso viaggio che ha fatto Dante: questo, almeno, è quello che spero.»
'Irredentismo' è una delle parole chiave delle moderne religioni della patria. Numerosi sono stati i movimenti di liberazione nel mondo che sono stati definiti in questo modo. Il termine però è nato in Italia, in riferimento alle terre dominate dagli Asburgo, fra cui quelle adriatiche, che sono state al centro di uno dei più duraturi e cruenti terreni di scontro. Lungo la frontiera orientale infatti gli irredentismi si sono succeduti nel corso di un secolo convulso: prima quello italiano fino alla Grande guerra, poi quello sloveno e quello croato durante il fascismo, poi ancora quello italiano dopo la Seconda guerra mondiale, per cercar di salvare Trieste e l'Istria. Gli irredentismi adriatici erano fieramente antagonisti, ma hanno condiviso spesso linguaggi e comportamenti. Questo libro ne segue per la prima volta l'intero, accidentato percorso, dove si intrecciano - nel richiamo a miti fondativi risorgimentali - sacrifici e soprusi, aneliti di libertà e politiche di potenza, storia e mito, in una regione collocata al centro di quella faglia di crisi che attraverso l'Europa orientale scende dal Baltico fino all'Adriatico, all'Egeo e al Mar Nero: una faglia i cui sussulti ancora ci allarmano.