"Perché il Giappone? perché è il Paese della scrittura: fra tutti i Paesi conosciuti, è in Giappone che ho incontrato la pratica del segno più vicina alle mie convinzioni". Dice Barthes a proposito di quest'opera, al tempo stesso notazione di viaggio (ma agli antipodi delle cronache del letterato) e perlustrazione entro un intero sistema di vita. "Il luogo dei segni non è cercato negli aspetti istituzionali ma nella città, nel negozio, nel teatro, nella cortesia, nei giardini, nella violenza. Ci si occupa di alcuni gesti ricorda ancora l'autore - di alcuni cibi, di alcune poesie; ma soprattutto di volti, di occhi e di pennelli con cui si può scrivere, ma non dipingere, il tutto".
Barthes prosegue un antico suo progetto che mira a individuare se l'intervento sociale di un testo non consista nell'impeto della scrittura piuttosto che nell'impegno del contenuto, che in fin dei conti ne rappresenta soltanto la 'caduta storica'. A sostenerlo è l'idea che la vera forza di un testo si misuri in quell'"eccesso" che gli consente di oltrepassare le leggi di una società, di una filosofia, di un'ideologia. Il volume presenta, inoltre, la lezione inaugurale tenuta da Barthes nel '77, quando fu accolto nel College de France: un discorso originale ed eccentrico dove l'autore s'interroga sul problema stesso del linguaggio, del parlare e sul rischio d'impoverire la conoscenza qualora ci si limiti alla sola teoria.
Il libro di Barthes si dipana attraverso il richiamarsi di una geografia di luoghi topici dell'amore, di frasi ricorrenti: "Adorabile!, la dichiarazione, il disagio, la gelosia, l'incontro, l'attesa, la tenerezza, io-ti-amo, fare una scenata, elogio delle lacrime, idee di suicidio, nell'amorosa quiete delle tue braccia, m'inabisso, soccombo..." Barthes sceglie l'ordine alfabetico a forma di frammento, che tutto evoca e disperde.