Nel 1995, mentre il mondo impara a usare le email e a comunicare via internet, Selin è una matricola a Harvard. Per lei comunicare, con o senza internet, è sempre stato un problema. Il suo rapporto con il mondo passa soltanto attraverso i romanzi: e cosi tutto della vita universitaria le pare assurdo. Il cavo Ethernet della connessione di dipartimento serve per impiccarsi? Se si compra tequila per la festa, come mai anche il sale? E perché nessuno si rende conto di desiderare solo ciò che non può avere? Quando però incontra Ivan tutto cambia. E per la prima volta capisce quanto è bizzarro e doloroso il desiderio e quanto è difficile ottenere ciò che si vuole davvero. Elif Batuman fa, con una grazia e un umorismo davvero unici, qualcosa di straordinario: il racconto della giovinezza. Di quel tempo, cioè, in cui ogni esperienza ci viene incontro come se fosse la prima volta, di quell'epoca della vita (l'unica) in cui impariamo tutto, sempre, in ogni momento. Ma anche di quell'età di cui, come diceva Proust, non ripeteremmo nulla, di quei giorni che rivisti oggi, per quanto offuscati dal filtro della nostalgia, ci appaiono come una lunga e disperante sequela di errori, passi falsi, malintesi. Di idiozie. Un tempo pieno di noia e giri a vuoto, ma che allora ci sembrava pieno di senso, decisivo, eccitante (domanda: quindi cos'è che rende significativi certi fatti della vita e altri meno? Non sarà forse il modo in cui li raccontiamo, dice Batuman, il modo in cui ne facciamo letteratura?)
"Cos'è che ami, quando sei innamorata? I suoi vestiti, i suoi libri, il suo spazzolino da denti. Tutti i beni di consumo, che prima erano estranei, vengono magicamente riabilitati come aspetti della persona. Dopo che Evgenij Onegin scompare nel settimo capitolo, Tat'jana comincia ad andare in visita nella sua tenuta abbandonata. Guarda i segni che ha lasciato sul biliardo, la sua biblioteca, il suo frustino, "tutto le pare inestimabile". "Chi era dunque lui?" domanda riflettendo sui suoi libri, esaminando i segni lasciati sui margini dall'unghia del suo pollice". Il nostro rapporto con la letteratura non è forse sottomesso alla stessa costellazione sentimentale? Non è, anche questa, un'allegoria della lettura? Come Tat'jana cerchiamo tra le pagine di un libro le tracce di un personaggio e del suo autore, tentiamo di ricostruire, a partire da un'assenza, un'essenza. Esponendoci al rischio inevitabile, incalcolabile - del disastro, del fallimento. Allora "I posseduti", come il romanzo e come la critica letteraria (generi a cui allo stesso tempo appartiene e che trascende), è il racconto di una storia d'amore. Come il protagonista della "Montagna magica" di Thomas Mann, che arriva in un sanatorio svizzero per una visita di tre settimane al cugino e vi rimane per sette anni a causa, si può dire, dell'amore, così Elif Batuman a tutto pensava tranne che a dedicarsi alla vita accademica: eppure resterà a Stanford sette anni per un dottorato sulla forma del romanzo russo.