Data di pubblicazione: Maggio 2016
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Nell’opera poetica I sette modi di amare Dio, scritta in dialetto brabantino (una forma di medio olandese) nella prima metà del XIII secolo, Beatrice di Nazareth, monaca cistercense e mistica, condensa la propria esperienza di Dio, tracciando un percorso che riassuma la forma più alta e perfetta di unione tra Dio e l’uomo
– l’amore –, studiandone l’essenza, i mezzi, gli stimoli, il rapporto intrattenuto con la vita della fedele. I sette “modi”, come altrettanti gradini, costituiscono un cammino unitario dell’anima, la quale, provando l’esperienza d’amore, comprende al tempo stesso che essa si può realizzare per l’uomo solo se è riconosciuta come proveniente da Dio e a lui orientata. La Vita di Beatrice è un’opera scritta in latino da un anonimo cistercense pochi anni dopo la morte della monaca (1268). Essa, seppure basata sugli schemi tradizionali dell’agiografia (e in particolare sulle Vite di sante mistiche), si riferisce a un’effettiva autobiografia spirituale scritta da Beatrice stessa in volgare (non pervenutaci), a cui si attiene fedelmente e di cui lascia emergere i tratti di originalità. La Vita presenta ricorsivamente i temi propri della spiritualità di Beatrice: l’amore come desiderio insaziabile; la ricerca dell’umiltà e della spoliazione di sé; la follia della mente e lo sconquasso del corpo come esito dell’incontro estatico con l’amore di Dio.
L'AUTRICE
Nata nell’anno 1200 in una famiglia di grande religiosità, Beatrice si unì in giovanissima età a un beghinaggio, per poi entrare in un monastero cistercense e passare rapidamente dal grado di oblata a quello di monaca. Di lei viene raccontata la straordinaria memoria, l’applicazione nello studio, la capacità
di scrivere, la conoscenza nel latino e la dimestichezza con i trattati teologici, da Agostino al XII secolo. Nel 1237 divenne badessa nel monastero di Nazareth, fondato l’anno prima dal padre, dove trascorse tutto il resto della vita, fino alla morte (29 agosto 1268).
IL CURATORE
Franco Paris è ricercatore di Lingua e Letteratura nederlandese presso L’Università “L’Orientale” di Napoli; tra i suoi ambiti di ricerca ha sviluppato lo studio di problematiche legate alla traduzione, sia riguardo alla riflessione teorica che al mestiere del traduttore letterario. Per le Paoline ha curato la traduzione di Jan van Ruusbroec, Specchio dell’eterna beatitudine (Letture cristiane del secondo millennio, 1994).
Nell’opera poetica I sette modi di amare Dio, scritta in dialetto brabantino (una forma di medio olandese) nella prima metà del XIII secolo, Beatrice di Nazareth, monaca cistercense e mistica, condensa la propria esperienza di Dio, tracciando un percorso che riassuma la forma più alta e perfetta di unione tra Dio e l’uomo
– l’amore –, studiandone l’essenza, i mezzi, gli stimoli, il rapporto intrattenuto con la vita della fedele. I sette “modi”, come altrettanti gradini, costituiscono un cammino unitario dell’anima, la quale, provando l’esperienza d’amore, comprende al tempo stesso che essa si può realizzare per l’uomo solo se è riconosciuta come proveniente da Dio e a lui orientata. La Vita di Beatrice è un’opera scritta in latino da un anonimo cistercense pochi anni dopo la morte della monaca (1268). Essa, seppure basata sugli schemi tradizionali dell’agiografia (e in particolare sulle Vite di sante mistiche), si riferisce a un’effettiva autobiografia spirituale scritta da Beatrice stessa in volgare (non pervenutaci), a cui si attiene fedelmente e di cui lascia emergere i tratti di originalità. La Vita presenta ricorsivamente i temi propri della spiritualità di Beatrice: l’amore come desiderio insaziabile; la ricerca dell’umiltà e della spoliazione di sé; la follia della mente e lo sconquasso del corpo come esito dell’incontro estatico con l’amore di Dio.
L'AUTRICE
Nata nell’anno 1200 in una famiglia di grande religiosità, Beatrice si unì in giovanissima età a un beghinaggio, per poi entrare in un monastero cistercense e passare rapidamente dal grado di oblata a quello di monaca. Di lei viene raccontata la straordinaria memoria, l’applicazione nello studio, la capacità
di scrivere, la conoscenza nel latino e la dimestichezza con i trattati teologici, da Agostino al XII secolo. Nel 1237 divenne badessa nel monastero di Nazareth, fondato l’anno prima dal padre, dove trascorse tutto il resto della vita, fino alla morte (29 agosto 1268).
IL CURATORE
Franco Paris è ricercatore di Lingua e Letteratura nederlandese presso L’Università “L’Orientale” di Napoli; tra i suoi ambiti di ricerca ha sviluppato lo studio di problematiche legate alla traduzione, sia riguardo alla riflessione teorica che al mestiere del traduttore letterario. Per le Paoline ha curato la traduzione di Jan van Ruusbroec, Specchio dell’eterna beatitudine (Letture cristiane del secondo millennio, 1994).