Questo è un elogio della lentezza, intesa come elogio della lettura e della scrittura attenta. Se scrivere è indugio intorno al «fare», e leggere un restare in totale compagnia di se stessi, percorrendo un percorso individuale, il testo in quanto oggetto privilegiato deve di conseguenza assorbire ogni attenzione. E l'attenzione e l'indugio sono virtù da coltivare per i loro effetti positivi soprattutto in un'età come la nostra, l'età della velocità. E la velocità porta con sé, insieme ai notevoli agi, un'erosione culturale di cui ancora non siamo in grado di valutare le conseguenze.
Quante sono state le mancanze e i ritardi nel processo, forse non del tutto ancora riuscito, che ha portato l'Italia a essere una nazione unita giusto centocinquanta anni fa? Ma se l'Italia è giovane e fragile, l'italiano è una lingua che trova la sua forza e la sua ricchezza in una fulgida tradizione letteraria, una lingua che ci ha insegnato cosa significasse essere italiani, e non soltanto fiorentini o lombardi, piemontesi o siciliani. Le diversità sarebbero rimaste tali se non ci fossimo confrontati e uniti sotto il segno di una lingua comune.
Gian Luigi Beccaria percorre con passo leggero la storia delle patrie lettere con l'obiettivo di mostrare che le radici del nostro paese affondano innanzitutto nella continuità e nella durata di una lingua, nei grandi capolavori del passato, nella ricchezza dello scambio tra la lingua colta e i dialetti materni.
Si governa male la sintassi, si fanno errori marchiani di ortografia. Il mare della nostra ricca, duttile, stratificata, bellissima lingua, si dissecca spesso nelle strettoie di rigagnoli magri.
Nello stesso tempo molti settori stanno imboccando le vie opposte dell'enfasi, dove un italiano ipereccitato strafà e stradice. Anche la stessa «fonografia realistica» che riscontriamo nella narrativa, nei nostri romanzi che simulano tutti allo stesso modo il parlato, comincia a mostrarsi eccessiva. Meglio potare il troppo e lo spreco, riuscire a «far passare il mare in un imbuto«», diceva Calvino, fissare un onesto numero di mezzi espressivi e con quelli cercare di dire qualcosa di meno generico, piú ricco e complesso. Nel libro largo spazio è dedicato alla grammatica, ai dubbi quotidiani di lingua, ai momenti di «rigidezza» della norma e ai momenti di «libertà» dell'uso. E intanto si mettono in rilievo gli inganni e i sortilegi della parola, eufemismi e falsità, equivoci, etimi e storie curiose, locuzioni idiomatiche vive o malvive, parole perdute, percorsi e prospettive dell'italiano contemporaneo, contatti con altre lingue, l'anglomania in corso, le polemiche e i dibattiti attuali su lingua e dialetto, i linguaggi settoriali, dal politico allo sportivo alle parole dei giovani; infine i libri, la poesia e la prosa, il leggere e lo scrivere.