Roma ha accumulato 22 miliardi di euro di deficit ed è una città praticamente fallita. Alessandria è stata dichiarata in default per un debito di 200 milioni. Parma ha un buco di bilancio di 850 milioni. Napoli è in stato di pre-dissesto. L'Aquila è ancora un cumulo di macerie, perché la ricostruzione non ha finanziamenti adeguati. Sono 180 i comuni italiani commissariati per fallimento economico. I primi provvedimenti dei commissari riguardano la cancellazione del welfare, la vendita del patrimonio immobiliare, il licenziamento di personale. Con i tagli alla sanità sono stati soppressi numerosi presidi, le scuole chiudono, i servizi sociali non esistono più. Lo Stato chiude i battenti. Dal 1994, in cambio della cancellazione di ogni regola urbanistica, la cultura liberista aveva promesso un nuovo "rinascimento urbano". Sono state invece create immense periferie senza servizi e senza anima. La sovraproduzione edilizia ha provocato il crollo dei valori immobiliari, cosicché le famiglie italiane, già colpite dalla crisi economica e dalla disoccupazione, vedono scomparire i servizi sociali e il valore della propria abitazione. Povertà e insicurezza per tutti. Prefazione di Paolo Maddalena.
Nel 1985, pochi mesi prima dell’approvazione della famosa legge Galasso sulla tutela del paesaggio italiano, il Parlamento approva la prima legge di condono edilizio proposta da uno degli ultimi governi di centrosinistra. Si disse che sarebbe stato il primo e l’ultimo. Dopo nove anni, nel 1994, il primo governo Berlusconi porta in approvazione il secondo condono edilizio. Anche allora si disse che sarebbe stato l’ultimo. Nel 2003 un altro condono proposto dalla stessa maggioranza. Finora sono tre le leggi di condono edilizio approvate dal Parlamento, e per quanto possa sembrare strano non è stato fornito all’opinione pubblica nessun rendiconto su quante domande siano state presentate, quanti edifici siano stati condonati, quanti ettari di terreno agricolo siano stati divorati dalle costruzioni, quale sia il bilancio economico delle tre leggi. Siamo un paese in cui lo Stato non ha la forza e l’autorità per far rispettare le leggi, a partire dai piani urbanistici, e cioè le regole che disegnano il futuro delle città. E la china rovinosa dell’Italia pare non arrestarsi: sembra che la cultura dell’abusivismo stia permeando le amministrazioni pubbliche. Dal primitivo abusivismo di «necessità», quello cioè di un paese povero che faticava a diventare moderno, siamo infatti passati all’iniziativa dello Stato stesso per cancellare ogni regola. Nel 2009 il governo Berlusconi annuncia il «piano casa» con cui si possono aumentare i volumi degli edifici a prescindere da qualsiasi regola urbanistica. Nello stesso periodo, per la preparazione Dei mondiali di nuoto e delG8 alla Maddalena, si sperimenta il modello di deroga persino rispetto alle regole paesaggistiche e di tutela dei corsi d’acqua. Fenomeni di questo tipo sono impensabili e sconosciuti in tutti gli altri paesi europei. Ed è urgente chiedersi quale sia il male oscuro che non permette all’Italia di divenire un paese in cui le regole sono rispettate.
La configurazione urbanistica delle città è sempre stata determinata dalla struttura economica. Ciascuna di esse riceveva riconoscibilità dal contesto naturale, dalle caratteristiche delle produzioni che vi si svolgevano e dalla cultura individuale e collettiva che vi si esprimeva. La fase attuale di globalizzazione sta progressivamente cancellando le specificità. Le produzioni avvengono in ogni angolo del mondo e la struttura commerciale di tutte le aree urbane si sta rapidamente omologando. Nascono ovunque centri commerciali identici per forma e per offerta di beni di consumo. Le periferie si assomigliano sempre di più. Dalle periferie l'aggressione sta investendo i centri storici, e cioè quelle parti delle città in cui più elevata e preziosa era l'identità dei luoghi. Sottoposti a una pressione turistica senza precedenti, i centri antichi si orientano a soddisfare la domanda che ne consegue. Ed è così che artigiani e residenti scompaiono, sostituiti da negozi e megastore che potrebbero trovarsi in qualunque altro posto del mondo. Roma ha un centro storico unico, un luogo di grande fascino che traeva la sua caratteristica dall'equilibrio tra i ceti sociali che vi abitavano e il tessuto artigianale urbano. A Roma l'urbanistica è stata abbandonata: la "valorizzazione" dell'Ara Pacise e il parcheggio del Pincio sono solo gli aspetti più eclatanti dell'abbandono di una visione unitaria dei processi di trasformazione urbana. Di un'idea di città e del suo nucleo storico.