Qual è stato il ruolo degli intellettuali nel secolo scorso? David Bidussa individua due fasi distinte ma contigue: la prima coincide con l'egemonia dei partiti politici di massa, la seconda va dall'inizio della loro dissoluzione fino alle soglie dell'attualità. La prima fase è caratterizzata da figure che si configurano come "dissidenti impegnati", intellettuali infedeli. Sono Walter Benjamin, Simone Weil, Victor Serge ma anche Hannah Arendt, Albert Camus, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte e Furio Jesi. La seconda fase, che si dipana dall'inizio degli anni settanta fino al secondo decennio del ventunesimo secolo, è caratterizzata dall'insorgenza di movimenti e dalla lenta crisi delle democrazie rappresentative. Gli intellettuali assumono allora il ruolo di "chi mette in guardia" dai rischi del tempo presente, di chi indica i nodi o i temi rispetto ai quali il senso comune non ha gli strumenti per rispondere. Non sono più intellettuali infedeli, ma intellettuali radicali. Tra di loro Susan Sontag, Edward Said, Tony Judt, Zygmunt Bauman e Tzvetan Todorov. "Pensare stanca" non è però una storia degli intellettuali, ma una riflessione quanto mai necessaria sulla loro metamorfosi nel corso del Novecento, che si conclude con una domanda: cosa è rimasto dopo di loro, esistono oggi voci che hanno ereditato quella funzione? Insomma, c'è un futuro per gli intellettuali? Qual è stato il ruolo degli intellettuali nel secolo scorso? E, soprattutto, c'è ancora un futuro per gli intellettuali?
I decenni più neri dell'Europa: tra gli anni Trenta e l'inizio della guerra fredda. Un tempo in cui tutto cambia e anche la Chiesa deve confrontarsi con i nuovi poteri via via emergenti: prima i totalitarismi europei, poi le due superpotenze del mondo bipolare. In questo quadro, risulta centrale la questione del rapporto tra mondo cattolico ed ebraismo, non solo negli anni della persecuzione e dello sterminio ma anche dopo, con un «ritorno a casa» dei sopravvissuti segnato da ostilità e da pogrom, e con la partita aperta della questione mediorientale. Quale fu, rispetto a questi temi, la posizione della Chiesa e in particolare di papa Pio XII, che era stato nunzio apostolico a Berlino durante l'ascesa di Hitler? Come mutò in quegli anni la visione di politica internazionale della Santa Sede? Chi era il nemico irriducibile: il nazismo pagano, il fascismo con i suoi richiami alla religione di Stato, o il comunismo tenacemente ateo? Quando, e in quali modi, la Chiesa si avvicinò alle posizioni dell'alleato americano, non sempre in sintonia con le priorità strategiche del Vaticano? Interrogando i documenti, molti inediti, alcuni recentemente desecretati, questo saggio indaga il periodo tra il 1932 e il 1948. Tre lustri durante i quali il mondo cambiò aspetto, ma pregiudizi e timori profondamente radicati rimasero vivi nelle menti e nelle prassi di popoli e istituzioni. Indagarne la persistenza, capire come influenzarono azioni, inazioni, silenzi e decisioni della Chiesa come degli altri protagonisti di quegli eventi, è oggi più necessario che mai.
Per molto tempo, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, lo sterminio ebraico non è stato raccontato. Al massimo trovava posto nelle storie di famiglia, come una sorta di vicenda privata. Poi, alcuni anni fa, mentre la generazione dei testimoni oculari iniziava a morire, il problema si è imposto all'attenzione pubblica. Dieci anni dopo la sua istituzione ufficiale, il Giorno della memoria ha un futuro oppure il suo contenuto si è già esaurito? Che efficacia può avere, oggi, il racconto degli ultimi testimoni? E avere ascoltato tante volte il racconto di quell'orrore ci ha reso davvero più consapevoli e attrezzati dinanzi al rischio di una sua ripetizione? David Bidussa indaga la retorica della memoria pubblica, senza fare sconti ai suoi meccanismi rituali e alle sue debolezze. Lo fa guardando al momento in cui, tra pochi anni, non ci sarà più nessuno a raccontarci di aver visto con i propri occhi l'orrore dei massacri. Quando resteremo solo noi a raccontare le vittime e i carnefici con gli strumenti della storia.
Tanto l'ebraismo quanto il cristianesimo e l'islam negli ultimi decenni hanno subito forti spinte verso la radicalizzazione in senso teologico e politico. In nome della fedeltà ai fondamenti della propria fede - fossero essi individuati nella Bibbia o nel Corano - si è arrivati ad affermare progetti culturali, spirituali e politici assoluti: per il solo fatto di essere ispirati da Dio, la loro realizzazione poteva essere perseguita con qualsiasi mezzo, anche violento. E infatti la cronaca di questi decenni ci ha mostrato ebrei osservanti, devoti mussulmani e pii cristiani imbracciare il fucile per affermare la loro, violenta verità. Gli autori cercano di interpretare il fatto che nelle tre religioni monoteistiche si esprimono tendenze che non distinguono più tra religione e politica, tra sfera della coscienza individuale e quella dei valori comuni. Lo sforzo di questo libro, quindi, è quello di ritrovare o comunque ricercare il bandolo originario della matassa, di ricostruire il percorso teologico, politico, culturale compiuto dai fondamentalismi prima di giungere ai loro esiti finali.