All'alba del 2 agosto 316 a.C, nella piana di Canne, si fronteggiano due schieramenti: l'esercito romano, guidato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, e l'armata del cartaginese Annibale, che ha valicato le Alpi con i suoi elefanti e disceso la penisola, travolgendo le difese dei popoli fedeli a Roma. Nonostante un esercito numericamente inferiore ed eterogeneo per lingue, costumi e credenze, i generali cartaginesi avrebbero presto sbaragliato le celebri legioni romane. La sottile mezzaluna dei soldati cartaginesi distruggerà, infatti, la compatta formazione oplitica romana, in una manovra a tenaglia che sarà di ispirazione per molti altri grandi generali, primo su tutti Napoleone Bonaparte. A scontrarsi a Canne non sono però soltanto due eserciti, ma due civiltà: due diversi modi di fare la guerra, di strutturare il potere e la società, due modi di intendere la virtù. Ripercorrendo le fasi della battaglia, dalla preparazione alla disfatta. Massimo Bocchiola e Marco Sartori allargano lo sguardo sui retroscena di entrambi gli eserciti, sul dramma dei condottieri e dei soldati semplici destinati a trucidarsi a vicenda in un lungo scontro all'arma bianca. Quell'esempio magistrale di tattica bellica, quel caso da manuale nella storia della strategia richiese infatti uno spaventoso tributo di sangue che sembra rivaleggiare in termini di vittime con Hiroshima e Nagasaki, tragedie figlie di altri tempi e di altre, terribili tecnologie. Il paragone potrebbe sembrare fuori luogo, ma tutta la vicenda di Canne riecheggia in avvenimenti recenti se non recentissimi, tra populismi, complotti e scontri di civiltà, come evidenzia bene Siegmund Ginzberg nel saggio che chiude il volume. Ma l'eterna attualità di Canne è anche nel suo essere la storia di tutte le battaglie campali: geometriche coreografie belliche e sanguinosa miseria della carne, il genio del singolo e il sacrificio di molti, la bellezza e la morte, tutto concorre al fascino eterno e sinistro di uno scontro senza tempo, e senza pari.
La congiura di Catilina, la rivolta che nell'autunno del 63 a.C. avrebbe dovuto decapitare i vertici della Repubblica romana, si è imposta nei secoli come "la madre di tutte le congiure". Ricostruendo l'intera vicenda, Massimo Bocchiola e Marco Sartori propongono come chiave di lettura la crisi delle istituzioni repubblicane, che si consumerà definitivamente di lì a poco con il primo triumvirato e poi con la dittatura di Cesare. Intorno a Catilina s'intrecciano, infatti, i destini dei principali personaggi del tempo: Cicerone, console nell'anno della congiura, l'antagonista di Catilina, il "difensore della Repubblica", non estraneo però a compromessi e ambiguità; Pompeo, il "convitato di pietra" con cui tutti sanno di dover presto fare i conti, impegnato nelle trionfali campagne in Oriente; Crasso, tenace tessitore di trame grazie alle sue ricchezze; Cesare, già in odore di vittoria, abile nel defilarsi da iniziative acerbe o velleitarie; Catone, risoluto e intransigente contro i rivoltosi, ostile a ogni atto di clemenza. Ma al centro della scena resta comunque lui, Catilina, uomo degli eccessi e delle contraddizioni, nel fisico come nella personalità. Ossessionato dal potere, oscilla "fra una realtà sovversiva e un sogno istituzionale", intraprendendo la rivolta armata solo dopo il fallimento del progetto di farsi eleggere console.