Il tema non dichiarato, ma più volte richiamato in questo libro che parla del Partito Popolare di don Sturzo, sembra essere quello dei "corsi e ricorsi" che punteggiano la storia italiana. È quasi un ammonimento da parte dell'autore che affronta la vicenda dei cattolici del Piemonte, da un canto ricordando la loro storia negli anni seguenti all'Unità d'Italia, dall'altro riferendo le tante difficoltà incontrate dal progetto di Sturzo nel clima "rivoluzionario" che, anche in questa regione, aveva caratterizzato il primo dopoguerra del Novecento. Sturzo intendeva dare vita a un partito con una propria autonomia e identità politica, non clericale ma radicato nel mondo cattolico, legato fortemente ad una realtà che viveva la trasformazione industriale di un'economia ancora caratterizzata dall'agricoltura; ad un partito che rifiutava il dominio di "una democrazia dei ricchi", com'era definito un sistema che fino al 1912 aveva limitato il voto a non più del 10% degli italiani. Un partito pensato in competizione con i liberali e i socialisti: una terza forza interclassista e popolare. In particolare, l'autore - uno tra i più ragguardevoli protagonisti della Dc e del Partito popolare degli anni Novanta - ricorda le eterogenee posizioni che convivevano tra i cattolici, ed i difficili rapporti che i dirigenti popolari avevano con una Chiesa indotta a cercare comunque e innanzitutto la soluzione alla Questione romana. Ricorda, infine, la dissoluzione di un 'sistema' segnato dalle scissioni nell'ambito della sinistra e da istituzioni incapaci di governare una crisi aggravata da continui scioperi, da disordini di piazza e dalla violenza politica; con democratici, riformisti e popolari senza strategia, e il raggruppamento liberale convinto di poter integrare i fascisti nella maggioranza. In un clima di scontro, che stava deragliando in guerra civile tra bolscevichi e fascisti, per i cattolici il problema era: da che parte stare. Prefazione di Bartolo Gariglio. Postfazione di Gianfranco Astori.
Dopo la fine della Prima Repubblica, l'obiettivo della transizione alla "democrazia compiuta", nella convinzione che solo il bipolarismo garantisce la governabilità, è naufragato contro una riforma elettorale che ha favorito ammucchiate eterogenee, incapaci di governare. Questo diario racconta il tradimento delle promesse del bipolarismo. La difficile "traversata del deserto" dei Popolari, il dominio della videocrazia, la tentazione autoritaria e la polemica contro la partitocrazia dimostrano che le regole del gioco influiscono sui comportamenti dei partiti, ma non sono tutta la politica. Una politica senza radici nella realtà sociale e nella storia del Paese è destinata a naufragare contro l'anti-politica e contro la sfida della mondializzazione dei mercati.