I lettori di Bolaño l'hanno capito da tempo: l'universo narrativo di questo autore (oggetto di un culto fervido quanto ormai diffusissimo) è simile a una ragnatela, a un labirinto, alla mappa di un'isola misteriosa, a una galleria degli specchi come quella della Signora di Shanghai, a una scacchiera, a un campo gravitazionale – o a un complesso organismo vivente. In ogni suo libro, infatti, quasi in ogni sua pagina, vi sono tracce, indizi, sintomi che rimandano ad altro, a qualcosa che era già – o che sarebbe poi stato – presente in altri libri. Qui, sullo sfondo di una Città del Messico concretissima e fantasmatica al tempo stesso, assistiamo all'iniziazione alla vita e all'amore di «un goffo poeta di ventun anni», «un nuovo arrivato piuttosto pretenzioso», il quale divide una stanza sul tetto con un giovanissimo scrittore che non esce mai di casa, vede topi mutanti sul soffitto e scrive lettere liriche e deliranti ad autori nordamericani di fantascienza. Un filo narrativo al quale (come sempre in Bolaño) se ne intrecciano altri: le lezioni radiotrasmesse del responsabile dell'Accademia della Patata di Santa Bárbara, scene della seconda guerra mondiale, aneddoti su altri scrittori... In questo libro – che è in sé stesso un rito di iniziazione, e un ritratto dell'autore da giovane – la scrittura di un Bolaño non ancora trentenne è letteralmente sfrenata: un fuoco d'artificio di effetti speciali, apparizioni, visioni, allucinazioni, sogni psichedelici e scene surreali – quasi una scrittura «in acido». E invece gli appunti che troviamo in appendice al volume rendono conto dell'intenso e meditato lavoro di messa a punto dell'architettura del romanzo.
Il 30 giugno 2003 Roberto Bolan?o, gravemente malato (sarebbe vissuto solo altre due settimane), volle consegnare personalmente al suo editore questo libro, che fu il primo ad apparire dopo la sua morte e rappresenta una sorta di testamento spirituale e letterario. Il lettore scoprirà cinque racconti tra i più belli dello scrittore cileno: la storia dell'avvocato bonaerense che abbandona tutto per andare a vivere nel deserto insieme ai gauchos, i bovari della pampa; quella del topo poliziotto (nipote della famosa cantante Josefine del racconto di Kafka) che si aggira nella rete sterminata delle fogne alla ricerca di un feroce assassino; quella dello scrittore argentino che va a Parigi per incontrare un misterioso regista che forse è il suo doppio, e si ritrova a far l'amore con una puttana «come se tutti e due non sapessero fare altro che amarsi» - per citarne solo alcune. Chiudono il volume due conferenze: nella prima Bolan?o parla apertamente, e in modo struggente, della malattia e dell'approssimarsi della morte; la seconda è una definitiva resa dei conti, in forma di violento, sarcastico, a tratti irresistibile pamphlet, tra lui e quella «specie di Club Méditerranée» che sono gli scrittori (soprattutto sudamericani) la cui unica dote è la cosiddetta «leggibilità» - ed è al tempo stesso una veemente dichiarazione di amore per la letteratura.
"Anziché lo scrittore," ha detto una volta Roberto Bolaño "mi sarebbe piaciuto fare il detective privato. Sicuramente sarei già morto. Sarei morto in Messico, a trenta, trentadue anni, sparato per strada, e sarebbe stata una morte simpatica e una vita simpatica". Simpatica, eppure segnata già dalla sconfitta e dalla follia, dissipata e bohémienne, esaltante e allucinata, dopata di sesso, poesia, marijuana e mezcal, è sicuramente la vita dei protagonisti di questo libro, che Enrique Vila-Matas ha descritto come "il viaggio infinito di uomini che furono giovani e disperati, ma non si annoiarono mai". "I detective selvaggi" è infatti il romanzo delle loro avventure, ed è quindi un romanzo di formazione; ma è anche un romanzo giallo nonché, come tutti quelli di Bolaño, un romanzo sul rapporto tra la finzione e la realtà. Un libro, ha scritto un critico messicano, "simile a uno stadio dove la gente entra ed esce in continuazione", e dove, come avviene in 2666, si incrociano e si aggrovigliano, spesso contraddicendosi, le "versioni" di un'infinità di personaggi (tutta gente che "on the wild side" non si è limitata a farci un giro): poetesse scomparse nel deserto del Sonora e puttane in fuga, ex scrittori di avanguardia e magnaccia imbufaliti, architetti vaneggianti e poliziotti corrotti, cameriere libidinose e poeti bisessuali, e poi avvocati, editori, neonazisti e alcolizzati...
"Ormai sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente". Così comincia il breve, folgorante racconto dell'adolescenza di Bianca: ancora un personaggio, fra i tanti regalatici da Bolaño, che difficilmente dimenticheremo. Rimasti orfani dei genitori, Bianca e suo fratello scivolano a poco a poco in un'esistenza di ottusa marginalità, che li porterà a non uscire quasi più dall'appartamento in cui si sono rinchiusi, e dove passano nottate intere a guardare la televisione. A loro si aggiungeranno due improbabili soggetti, "il bolognese" e "il libico", con i quali la ragazza dividerà a turno, svogliatamente, il letto - senza quasi sapere chi lo sta facendo. Un giorno però entrerà nella loro vita un ex campione mondiale di culturismo, diventato cieco in seguito a un incidente, che tutti chiamano Maciste perché è stato un divo dei film cosiddetti "mitologici". Uno che forse ha dei soldi, che si potrebbero scovare e rubare. Con questo strano essere, che la attrae e la respinge al tempo stesso, Bianca vivrà una storia che, nata sotto il segno della prostituzione e dell'inganno, diventerà invece quanto di più simile a ciò che noi chiamiamo "una storia d'amore".
Chi è stato Carlos Wieder? Un poeta o un assassino? Un artista o un criminale? Un pilota spericolato che si esibiva in performance di "scrittura aerea" o un autore di snuff movies? E ha veramente arrestato e torturato e ucciso, nei mesi successivi al golpe di Pinochet, decine di persone, per poi esporre le foto dei cadaveri ridotti a brandelli perché convinto della assoluta, gratuita purezza del male - perché solo il dolore è in grado di rivelare la vita, e perché lo scopo della sua è "l'esplorazione dei limiti"? Nulla, sembra ribadire Bolaño, è più sfuggente della verità. Tant'è che, una pagina dopo l'altra, un tassello dopo l'altro - attraverso un accumulo di indizi, molti dei quali di natura squisitamente letteraria, e di storie parallele, alcune tragiche, alcune grottesche, alcune paradossalmente fiabesche (ma tutte, sempre, eccessive, "come il Cile di quegli anni") -, il nostro percorso di avvicinamento a quella che potrebbe essere la verità diventa via via più sdrucciolevole, come se l'autore medesimo ci invitasse a dubitare degli eventi che narra non meno che degli scrittori che cita, delle poesie, delle riviste, dei movimenti letterari a cui allude. Nonché, in definitiva, della esistenza stessa di un uomo chiamato Carlos Wieder.
I quattordici racconti che compongono questa raccolta apparsa nel 1997, agli esordi della carriera di Roberto Bolaño, distillano già quelle che saranno le ossessioni ricorrenti della sua narrativa e i temi attorno a cui si addensano: la letteratura, la violenza - appena sussurrata o quanto mai tangibile -, l'amore e il sesso. Il lettore vi incontrerà esistenze borderline, apolidi e insane, alla ricerca di un senso o che al senso hanno rinunciato, sballottate dal caso e da un'assurda quotidianità, tra amori infelici, errori evitabili e solitudini. Sono racconti aperti, imprevedibili, che non si esauriscono nella desolante constatazione dell'insensatezza della vita umana, ma giocano con il lettore, spingendolo a cogliere le citazioni occulte, le figure nascoste nella trama dell'ordito, a cercare di comprendere messaggi che risultano indecifrabili in primo luogo ai protagonisti stessi. Come se al fondo di ciascuna di queste storie ci fosse un enigma che sa essere, al tempo stesso, ilare, inquietante e spaventoso.
Appena mette piede, in compagnia della fidanzata, nella sua stanza d'albergo sulla Costa Brava, il giovane Udo Berger ottiene, dopo molte insistenze, che gli venga portato un grande tavolo, sul quale piazza il war game di cui è campione assoluto e di cui intende elaborare nuove e più audaci strategie: Il Terzo Reich. L'atmosfera è delle più beatamente, ottusamente balneari. Eppure, quasi subito, sentiamo che non tutto è luce, e che nell'ombra sono in agguato fantasmi inquietanti. Né ci vorrà molto perché la liscia superficie della routine vacanziera si incrini: e dalle fenditure vedremo apparire qualcosa in cui non potremo che riconoscere il Male. A mano a mano che l'estate si spegnerà, l'albergo, svuotandosi, assomiglierà pericolosamente a quello di Shining - mentre noi, insieme a Udo (sempre più ossessionato dal suo gioco, e risoluto a trovare il modo di portare alla vittoria l'esercito tedesco nella seconda guerra mondiale), cominceremo a interrogarci sugli eventi ominosi a cui andiamo assistendo: a chiederci, per esempio, a che cosa miri davvero Frau Else, l'affascinante ed enigmatica proprietaria dell'albergo; e perché il Bruciato, l'uomo dal corpo e il volto coperti di cicatrici ripugnanti che vive sulla spiaggia, abbia ingaggiato contro Udo una lunghissima partita di Terzo Reich, più simile a un duello o a una resa dei conti - e che potrebbe anche concludersi nel sangue; e soprattutto per quali tortuose vie quel che avviene nel gioco influenzi gli avvenimenti del mondo reale?
Da quando Conan Doyle ha dimostrato che del corpo, in un'indagine ben condotta, si può tranquillamente fare a meno, molti autori di storie poliziesche si sono divertiti a mettere i propri protagonisti in condizione di non potersi muovere. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, è arrivato Roberto Bolaño, che in questo romanzo ha inventato Auxilio Lacouture. Se per via della stazza il detective di Rex Stout abbandona a fatica e malvolentieri la sua serra, Auxilio, che invece sembra la «versione femminile di don Chisciotte», non può semplicemente uscire dai bagni della facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico, dove l'esercito e i reparti antisommossa hanno appena fatto irruzione. Siamo nel settembre del 1968, cioè nel cuore di una stagione rivoluzionaria rispetto alla quale i moti europei sono un pranzo di gala appena un po' rumoroso. Quella che Auxilio arriva pian piano a ricostruire è la «storia di un crimine atroce» che ha lasciato il segno su tutta una generazione di giovani latinoamericani. Un'immagine dopo l'altra, lo spazio fisico si dissolve, mentre la voce di Auxilio diventa quella di Bolaño, e attraverso una galleria di personaggi indimenticabili ridisegna la geografia, immaginaria e persino troppo reale, di un intero continente.
Delle molte leggende alla cui nascita Bolaño stesso ha contribuito, l’ultima riguarda la forma che 2666 avrebbe dovuto assumere. Si dice infatti che l’autore desiderasse vedere i cinque romanzi che lo compongono pubblicati separatamente, e se possibile letti nell’ordine preferito da ciascuno. La disposizione, ammesso che sia autentica, era in realtà un avviso per la navigazione in questo romanzo-mondo, che contiene di tutto: un’idea di letteratura per la quale molti sono disposti a vivere e a morire, l’opera al nero di uno scrittore fantasma che sembra celare il segreto del Male, e il Male stesso, nell’infinita catena di omicidi che trasforma la terra di nessuno fra gli Stati Uniti e il Messico nell’universo della nostra desolazione. Tutte queste schegge, e infinite altre, si possono in effetti raccogliere entrando in 2666 da un ingresso qualsiasi; ma fin dall’inizio il libro era fatto per diventare quello che oggi il lettore italiano, per la prima volta, ha modo di conoscere: un immenso corpo romanzesco oscuro e abbacinante, da percorrere seguendo una sola, ipnotica illusione – quella di trovare il punto nascosto in cui finiscono, e cominciano, tutte le storie.