Mario Brelich è stato uno scrittore del tutto anomalo nel paesaggio letterario italiano: e non solo perché l'intera sua opera narrativa è dedicata a figure ed episodi delle Sacre Scritture, ma anche (o forse soprattutto) perché ognuno dei "capitoli" di quest'opera ci appare come un oggetto tanto più malioso quanto più difficile da etichettare. Questa volta Brelich si misura con Giuditta -l'unica fra tutte le eroine dell'antichità ad "affidare la salvezza della sua città, del suo popolo e dell'avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza" - e mentre ne ripercorre la vicenda con la consueta, affabile scioltezza, la indaga con gli strumenti più vari (non ultimo la psicoanalisi); e poiché ha la scienza del teologo e la grazia del narratore, riesce a farci penetrare nel mistero di questa seducente eroina-avventuriera, in quel miscuglio di castità austera e irresistibile sex-appeal che non a caso ha ispirato alcuni fra i più grandi dei "maestri antichi".
Al vecchio chevalier Auguste Dupin, investigatore dilettante immortalato dalla fantasia di E.A. Poe, mentre rovista fra le ingiallite scartoffie, ricordi di tanti memorabili casi da lui risolti, capita sotto mano una misteriosa cartella che porta l’impegnativa scritta: evadenda. Con grande sorpresa vi scopre l’abbozzo di un suo vecchio racconto sul traditore di Cristo. E ora si ricorda: ecco l’unico caso, ‘il caso Giuda’ che egli non ha ancora risolto, e neppure seriamente affrontato. La presenza del suo altrettanto vecchio amico, compagno inseparabile della giovinezza e attento interlocutore nelle sue lunghe riflessioni ad alta voce, lo induce a improvvisare una disquisizione sul ‘sommo delitto’ che, offrendo pochi indizi concreti, si presta eminentemente a essere trattato con il metodo analitico di Dupin, che permette al suo inventore il lusso di non dover mai rinunciare alla comodità della propria poltrona.
Con questa trovata della ‘chiacchierata in poltrona’ l’autore alleggerisce notevolmente l’implicita gravità dell’argomento che da duemila anni eccita la fantasia di studiosi, scrittori e artisti. E affidando all’acume, al brio, allo spirito battagliero di Dupin l’analisi e la soluzione del delitto più misterioso della storia, quasi gli addossa una parte della responsabilità dei singolari risultati dell’indagine. Con questo trucco sottile e specioso l’autore sottolinea che non pretende di aver scoperto la verità e che sarà contento di aver prospettato una soluzione «anche se non quella giusta, comunque una, e ottima», sempre per citare le note parole del cavaliere Dupin.
L’autore così cautamente mascherato imposta il problema in una maniera insolita, che permette di considerare il ‘caso’ sotto punti di vista nuovi e sorprendenti, e quindi di giungere a risultati inaspettati. Il tradimento di Giuda, il cui movente umano perde qui ogni importanza, si delinea – attraverso momenti di suspense metafisico da ‘giallo teologico’ – come la risultante del conflitto di altri interessi dietro le quinte superne e infere, inscindibili da quella visione mitologica del mondo che in quei tempi non aveva ceduto ancora al razionalismo e si era sovrapposta perfino alla realtà storica. Così il famigerato tradimento si configura innanzitutto come un momento decisivo nella lotta che l’uomo combatte contro il suo Dio per strappargli almeno i surrogati di quella felicità di cui venne privato con l’espulsione dal Paradiso Terrestre.
In questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1975, l’autore del Sacro amplesso prosegue con temeraria sottigliezza le sue indagini sui testi sacri, alla ricerca di indizi da cui si possa sperare che la nostra problematica esistenza e la nostra travagliata storia abbiano un senso, almeno al cospetto del Dio della Bibbia.