"Leggendo i bellissimi saggi di Iosif Brodskij siamo assaliti da un curioso sentimento di confusione e di ammirazione. Accanto a Brodskij, o a Siniavskij ... ci pare di essere dei bambini. Non solo perché oggi nessuno, in Occidente, compone saggi che abbiano l'intensità e l'eleganza di quelli di Brodskij. Ma perché l'esperienza riflessa nei loro libri sembra avere una profondità, una vastità, una complicazione, una ramificazione, quale noi, nelle nostre vite educate e bene ordinate, non abbiamo mai conosciuto." (Pietro Citati)
Diciotto poesie, scritte nell'arco di trentatrè anni, fra il 1962 e il 1995. Negli anni Sessanta e Settanta le poesie o i poemetti natalizi sono variazioni via via fantastiche, rabbiosamente amare, malinconiche, scherzose, ispirate dalla festività, ma quasi svincolate dalla ricorrenza concreta. Negli anni Ottanta la svolta, che è insieme tematica e stilistica: proprio l'evento della Natività, un miracolo che puntuale si ripete e illumina il nostro destino, si fa specchio di una riflessione sul tempo, la solitudine e l'amore che ha la levità ironica di una sonata mozartiana.
È Clio, la "Musa del Tempo", a scandire con il suo metronomo il ritmo dei saggi qui raccolti. Lo sguardo di Brodskij si posa distaccato, ironico, sidereo tanto sulla fenomenologia di un occasionale presente quanto su medaglioni di un passato, prossimo o remoto, in cui l'oggi si rispecchia sotto una inedita luce. Ma siano i viaggi o la noia, la creatività o l'esilio, il tradimento o il senso della poesia, il piacere della lettura o l'essenza del male i temi affrontati resta, sotteso a tutto, il senso ineluttabile del tempo che polverizza ogni istante vissuto.
Come nasce la poesia? Di quale misterioso lavoro è l'esito? E qual è il suo compito? Chiunque si sia posto, almeno una volta, domande del genere potrà finalmente trovare in queste interviste - che coprono l'intero arco della vita di Brodskij in esilio, dall'inizio degli anni Settanta fino a poche settimane prima della morte improvvisa, avvenuta a New York nel 1996 - risposte di un'audace limpidezza. Scoprirà così che la poesia è "uno straordinario acceleratore mentale", "lo scopo antropologico, o genetico" della nostra specie, e che non vi è strumento migliore per "mostrare alla gente la visione reale della scala delle cose". Scoprirà, poi, che quelli che ha sempre ritenuto imperscrutabili artifici tecnici - gli schemi metrici ad esempio sono in realtà "formule magiche", "magneti spirituali", capaci di incidere profondamente sulla poesia, al punto che un contenuto moderno espresso secondo una forma fissa (un sonetto, per intenderci) può sconvolgere quanto "una macchina che sfreccia contromano in autostrada". Per di più Brodskij sa illuminare anche il lavoro dei poeti che amava - Auden, Frost, Kavafis, Mandel'stam, Achmatova, Cvetaeva, Milosz, Herbert, per limitarci ai contemporanei - con una lucidità mai disgiunta da una vibrante partecipazione: "Non mi capita spesso di leggere qualcosa che mi dia una gioia così intensa come quella che mi dà Auden. È vera gioia, e con gioia non intendo un semplice piacere, perché la gioia è qualcosa di molto oscuro".