Dino insegue una farfalla gialla e nera che porta un teschio sul dorso e si addentra in un bosco nero: riesce a serrarla nel pugno ed è allora, quando l’ha catturata e sta per destinarla alla prigionia di una piccola scatola, che la sente parlare. La farfalla si chiama Atropo, appartiene alla Notte e gli racconta del Castello Senza Tempo, un luogo sinistro abitato dagli Immortali, anime scampate al diluvio universale e condannate all’eternità, che giocano un’eterna partita a dadi, unite a coppie, senza riuscire a ingannare il loro carceriere, il Tempo. Ma forse Dino ha il potere di liberarle: come, e con quali conseguenze? Gesualdo Bufalino gioca con atmosfere tenebrose, addensa il suo linguaggio scabro nei modi della fiaba e compone una storia di paura e mistero, impastata di elementi tradizionali, strana e inquietante. La versione del centenario è illustrata da Lucia Scuderi, artista catanese naturalmente affine alle atmosfere evocate, e introdotta da un testo di Nadia Terranova.
Iniziata in tempi remoti e riscritta più volte, "Diceria dell'untore" incontrò subito, quando fu data alle stampe nel 1981, un unanime consenso di critica e di pubblico. Stupiva l'esordio tardivo e riluttante dell'autore, la sua distanza dai modelli correnti, la composita ragione narrativa tramata di estasi e pena, melodramma e ironia; non senza il contrappunto di una sotterranea inquietudine religiosa, come di chi si dibatte tra la fatalità e l'impossibilità della fede... Stupiva, l'oltranza lirica della scrittura, disposta a compromettersi con tutte le malizie della retorica senza vietarsi di accogliere con abbandono l'impeto dei sentimenti più ingenui. La vicenda racconta un amore di sanatorio, nel dopoguerra, fra due malati, un amore-duello sulla frontiera del buio. L'opera è arricchita da un'appendice di pagine inedite escluse dalla primitiva edizione.
Malpensante è chi pensa male, tecnicamente parlando, ma è, soprattutto, chi pensa il male e ne accarezza i nodi dentro di sé. Di entrambi i significati sostiene d'essersi ricordato Gesualdo Bufalino nell'intitolare la presente raccolta di aforismi, note azzurre, fusées, greguerias, obiter dicta, goliarderie, malumori e umori disposti a mo' di barbanera retrospettivo e offerti al passeggero, come si usava una volta. Uno zibaldone (o anche un diario travestito da libro sapienziale, un'opera dei pupi indecisa tra divertimento e passione) assai voluminoso in origine, ma da cui l'autore ha estratto solo le schegge che gli apparissero anticipi o riassunti delle sue più tenaci ossessioni.
Questo volume contiene: Introduzione (di Maria Corti); Cronologia; Parte prima: "Diceria dell'untore", "Museo d'ombre", "Argo il cieco", "L'uomo invaso", "Le menzogne della notte"; Parte seconda: "L'amaro miele"; Parte terza: "Cere perse", "Il malpensante", "La luce e il lutto"; Appendice: istruzioni per l'uso (di "Diceria dell'untore"), La panchina; Note ai testi; Fortuna critica; Bibliografia.
I racconti de "L'uomo invaso" appartengono al Bufalino più "classico", sebbene risentano di un'impronta particolare. Le storie che vi sono raccontate sembrano apparentemente lontane tra loro per luogo, epoca, umore ma in realtà sono unite da un filo comune, in un disegno coerente e unitario che le fa assomigliare a tanti capitoli di un unico romanzo. "L'uomo invaso" è infatti il racconto dell'uomo solo che nell'imminenza della morte fa appello alla memoria (privata, storica, culturale) per conquistarsi un'identità definitiva, e finalmente essere in grado di capire. Gli eroi di queste fiabe o racconti sono colti in bilico tra passione, cabala e realtà.