Data di pubblicazione: Gennaio 2010
DISPONIBILE : NON AL MOMENTO
€ 17,50
Fawad ha undici anni ed è «nato all’ombra dei talebani», come gli ripete sempre sua madre, Mariya. Non gli è chiaro cosa significhi esattamente, perché lei non aggiunge altro e lui era troppo piccolo quando quei fabbricanti di tenebre erano ancora in circolazione, ma una cosa è certa: una traccia di quell’ombra è rimasta sul volto della mamma. Severa e taciturna, non parla mai della famiglia perduta: il marito e il figlio più grande, uccisi, e la figlia rapita. Solo di tanto in tanto solleva lo sguardo dal cucito e rievoca i tempi felici, che nei suoi racconti hanno i colori di stanze dai grandi cuscini rossi e di un giardino dalle rose gialle.
Fawad pensa che la mamma, con le immagini che si inventa, potrebbe fare la poetessa, se solo sapesse scrivere, e invece è costretta a fare le pulizie nelle case dei ricchi per tirare avanti. Mentre lei è persa nel buio dei ricordi, Fawad corre nel vento e nel sole polveroso delle strade di Kabul, dove, insieme ai suoi amici, si inventa ogni giorno nuovi trucchi per alleggerire le tasche degli stranieri di passaggio.
Fino al giorno in cui Mariya trova impiego presso tre occidentali: Georgie, operatrice di una ONG; May, ingegnere; James, giornalista. Raccolto il poco che hanno, madre e figlio si trasferiscono a casa di quegli estranei: un mondo nuovo e bizzarro, fornito di tv e acqua corrente, ma fatto di stili di vita inconcepibili per chi è afgano. Spinto da un misto di curiosità e diffidenza, Fawad comincia a spiarne gli abitanti, fino a scoprire che tra quel mondo e il suo possono nascere l’amicizia e l’amore. Ma capisce anche che è impossibile sfuggire completamente alle tenebre. E lui stesso si troverà a fare i conti con l’ombra dei talebani quando questa tornerà a incombere sulle persone che più ama.
Fawad ha undici anni ed è «nato all’ombra dei talebani», come gli ripete sempre sua madre, Mariya. Non gli è chiaro cosa significhi esattamente, perché lei non aggiunge altro e lui era troppo piccolo quando quei fabbricanti di tenebre erano ancora in circolazione, ma una cosa è certa: una traccia di quell’ombra è rimasta sul volto della mamma. Severa e taciturna, non parla mai della famiglia perduta: il marito e il figlio più grande, uccisi, e la figlia rapita. Solo di tanto in tanto solleva lo sguardo dal cucito e rievoca i tempi felici, che nei suoi racconti hanno i colori di stanze dai grandi cuscini rossi e di un giardino dalle rose gialle.
Fawad pensa che la mamma, con le immagini che si inventa, potrebbe fare la poetessa, se solo sapesse scrivere, e invece è costretta a fare le pulizie nelle case dei ricchi per tirare avanti. Mentre lei è persa nel buio dei ricordi, Fawad corre nel vento e nel sole polveroso delle strade di Kabul, dove, insieme ai suoi amici, si inventa ogni giorno nuovi trucchi per alleggerire le tasche degli stranieri di passaggio.
Fino al giorno in cui Mariya trova impiego presso tre occidentali: Georgie, operatrice di una ONG; May, ingegnere; James, giornalista. Raccolto il poco che hanno, madre e figlio si trasferiscono a casa di quegli estranei: un mondo nuovo e bizzarro, fornito di tv e acqua corrente, ma fatto di stili di vita inconcepibili per chi è afgano. Spinto da un misto di curiosità e diffidenza, Fawad comincia a spiarne gli abitanti, fino a scoprire che tra quel mondo e il suo possono nascere l’amicizia e l’amore. Ma capisce anche che è impossibile sfuggire completamente alle tenebre. E lui stesso si troverà a fare i conti con l’ombra dei talebani quando questa tornerà a incombere sulle persone che più ama.