«Matteotti non voleva e non cercava la morte. Volle e cercò la lotta; volle e cercò i posti di responsabilità nelle ore più dure, seppe vincere tutti i giorni, e perdere tutti i giorni la sua piccola battaglia. Io ammiro in lui la fede di tutte le ore, la tenacia, la costanza, l'ottimismo contagioso, il volontarismo» Carlo Rosselli Frutto di anni di ricerche e di un'indagine quasi poliziesca, questo libro di Mauro Canali, aggiornato agli ultimi documenti, è il testo di riferimento sul delitto Matteotti, quello che, se non «risolve» il caso, certo porta la maggior quantità di informazioni e argomenti a favore della tesi di una responsabilità diretta di Mussolini. Inseguendo la pista «affaristica» - quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera -, ricostruendo le vicende del primo e del secondo processo e infine seguendo il destino dei protagonisti del delitto durante il Ventennio, Canali riesce a delineare un quadro vivido e convincente di un affaire che è all'origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.
Il 5 agosto 1943, a pochi giorni dall'arresto di Mussolini, i giornali pubblicano una notizia sensazionale: il governo Badoglio ha istituito una commissione con il compito d'indagare sulle fortune accumulate dai gerarchi nel corso del ventennio, i cosiddetti illeciti arricchimenti del fascismo. Il duce e i capi del regime, un tempo intoccabili, finiscono in prima pagina, dati in pasto a un'opinione pubblica che fino al giorno prima li aveva temuti, odiati, riveriti, spesso invidiati. Chi sono e quanto hanno «rubato»? E lo Stato è voluto veramente andare fino in fondo o ha chiuso un occhio, consentendo ai più di farla franca? Infine, quanto è tornato nelle tasche degli italiani? Quello che l'inchiesta scoperchia è un autentico verminaio. Una storia di corruzione e concussione, di tangenti e appalti, di capitali che trovano riparo all'estero, di raccomandazioni; un intreccio perverso tra politica e affari alla faccia del rigore e dell'onestà tanto proclamati dalla propaganda fascista. È una storia anche grottesca, fatta di fughe rocambolesche, di rotoli di banconote nascosti nell'acqua degli sciacquoni, di tesori sotterrati in giardino; e verbali di sequestro così scrupolosi da non crederci: favolosi patrimoni in ville e palazzi, pellicce, arazzi, gioielli, fino al numero di posate in argento, all'ultima pantofola, calza e mutanda del gerarca inquisito. Alla ribalta salgono nomi eccellenti: si scopre per esempio che Alessandro Pavolini, ministro del Minculpop, gran signore del cinema di regime, è pronto a tutto, anche a cambiare le leggi, pur di far felice l'amante, l'attrice e icona sexy Doris Duranti; che l'integerrimo Roberto Farinacci, l'ideologo della purezza fascista, ha accumulato un patrimonio di centinaia di milioni, niente male per un ex ferroviere diventato avvocato copiando la tesi di laurea; o, ancora, che Edmondo Rossoni, ex leader sindacale - «la migliore forchetta del regime» e non solo perché usa pasteggiare con posate d'oro - si è costruito nel Ferrarese un vero e proprio impero immobiliare. C'è poi Mussolini e i suoi «affari di famiglia», con gli intrallazzi di Galeazzo ed Edda Ciano, l'avidità di donna Rachele e la rapacità del clan Petacci. Mauro Canali e Clemente Volpini forniscono con documenti una radiografia del malaffare in camicia nera, facendo i «conti in tasca» ai vertici della nomenclatura fascista.
La messe di informazioni e indizi che il libro raccoglie sul caso Matteotti rafforza la tesi del coinvolgimento diretto di Mussolini. Inseguendo la pista "affaristica", quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera, poi ricostruendo le vicende del primo e del secondo processo, infine seguendo il destino dei protagonisti della vicenda (famiglia Matteotti compresa) durante il Ventennio, Canali delinea un quadro vivido e convincente di un'affaire che è all'origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.
Subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, dal 1919 al 1926, sulle rovine dell'Impero ottomano, la Turchia e le potenze vincitrici si contendono il controllo su una piccola provincia del neonato Regno di Iraq. La zona di Mossul, ricchissima di petrolio, diventa l'epicentro di un conflitto politico e diplomatico che rischia più volte di farsi armato. È una crisi che per la prima volta rivela l'abbraccio incestuoso tra diplomazie occidentali e interessi petroliferi, in uno schema che non sarà mai più così chiaro e trasparente. Ma è anche la prima esibizione muscolare di Mussolini nel mondo, in una vicenda che mostra i tratti già vecchi di un regime in formazione. Una vicenda profetica e appassionante, che Mauro Canali ci racconta sulla base di documenti inediti raccolti negli archivi italiani e statunitensi.
Mauro Canali lavora da tempo al tema scottante degli apparati informativi e repressivi del regime fascista: a partire dallo studio su Cesare Rossi, animatore della Ceka, proseguendo con i retroscena del delitto Matteotti, per arrivare al discusso caso di Ignazio Silone e del suo ruolo di informatore. Ora ha portato a termine un'opera complessiva che, raccogliendo il frutto di molti anni di lavoro e rendendo pubblica una approfondita conoscenza della documentazione archivistica (in larga parte ancora ignota agli studiosi), fotografa nei dettagli la rete informativa stesa dal regime fascista per controllare e neutralizzare l'opposizione e il dissenso, in Italia come all'estero. Canali segue l'evoluzione dei vari organismi di polizia (la Polizia politica, l'Ovra) e ne descrive il funzionamento, rintracciando zona per zona, città per città, l'esercito di fiduciari e informatori, dei quali vengono ricostruite identità e attività e, in una corposa appendice, elencati i nomi. Da un consimile viaggio nei sotterranei del regime, il fascismo si rivela per quello che fu: un gigantesco, efficiente, occhiuto e corruttore stato di polizia.