La voce del poeta si riconosce, tra l’altro, perché crea uno spazio speciale. Ogni voce autentica ci rende presente il mondo in una luce particolare, sotto le volte di un’architettura nuova. Non si confonda l’esiguità del dettato di Roberta Castoldi con una delle tante forme di gioco al ribasso, di esercizietto che oggi vengono spesso scambiate per poesia. No, qui siamo di fronte a un’asciuttezza architettonica, a un misuratissimo, e perciò concentrato e dispendioso lavoro di disposizione dello spazio, come di sé nel destino. Una radicale riscoperta del mondo. Non è minimalismo la gentile e a volte tagliente attenzione della Castoldi ai particolari del vivere, ai fotogrammi di esistenza o ai movimenti segretissimi. Piuttosto, secondo la lezione di alcuni autori – come l’amato Ponge, ma senza la sua disincarnata beatitudine – l’avventura di scoprire quali orizzonti interi, quali visioni o quali improvvise epifanie si aprano nella percezione drammatica dei dettagli dei giorni. Sospesi come sono, in lotta come sono tra il prevalere del bianco di assenze immedicabili o di conversazioni che accedono alla sorpresa dell’amore e la custodiscono. Una poesia di trauma e pazienza, che ci dona una sfida anche stilistica tra le più originali del momento, tra le più concentrate e libere. (Davide Rondoni)