«Non l'aspetto, non mi pare di averlo mai aspettato» dichiara Ceronetti, senza nascondersi tuttavia che il tema fluttua da sempre nel suo «mondo mentale», anzi è «centrale e sigillato come l'ombelico». Tant'è che soltanto lui poteva darci questo piccolo libro prezioso, in cui, armato solo delle sue domande appassionate e della sua immensa erudizione, egli parte alla ricerca di presenze e testimonianze messianiche nei testi degli autori che da sempre frequenta e ama: da Eraclito a Isaia, da Buber a Dostoevskij, da Rimbaud a Beckett, da Cechov a Kafka. E in tal modo ci indica una via, e ci spalanca orizzonti: perché, ci dice, «pensare messianicamente, sia pure con una forzatura malinconica, trattiene la mente dal precipitare nell'incretinimento generale», e perché nessuno quanto lui sa che, per quanto ignari, si vive tutti nell'attesa del Messia.
Una guida da parte di “uno che soffre i mali di cui parla”, un “breviario filosofico” da tenere “in tasca o nella borsa”, per conservare la “memoria verace” e “preservarla dalla e-memoria che va surrogando la realtà stessa, corrompendo la gioventù e l’infanzia e, finché non avrà distrutta e resa schiava con tutti i suoi prodotti la mente umana, non sarà sazia di divorare”.
"Gray diceva che chiunque poteva scrivere un buon libro, ed era semplicemente la storia della sua vita" recita la lettera di Stendhal in epigrafe a questo libro. "Per le strade della Vergine" è proprio questo: 'semplicemente' la storia della vita di Ceronetti fra il gennaio 1988 e il luglio 1996. Uno zibaldone, "per chi sa quali futuri lettori", che raccoglie viaggi, incontri, ossessioni, amori, lutti, sogni, letture, malattie, amicizie illustri, riflessioni liriche e scene di vita quotidiana, divagazioni oniriche e cronache minuziose. Un itinerario che restituisce il ritratto di uno dei protagonisti della cultura italiana nella sua irriducibile peculiarità.
Da sempre il Tragico e Guido Ceronetti si rispecchiano l'uno nell'altro, e oggi formano una perfetta coppia aristotelica che il destino attende, sfinita, in un sobborgo di Atene - padre e figlia, Antigone e il vecchio, sacralmente reietto, Edipo. Ma occupa principalmente il lavoro di ricerca dello scrittore un'appassionante domanda: "Che cos'è tragico". A differenza del Tragico classico, che è nobile sempre e appartiene all'esistenza e all'Occidente, il Tragico tascabile ha battute banali, che la storia sgombra tra i suoi detriti - e ha infiniti motivi per piangere. Più di Fedra preda di Venere, più di Amleto mancato vendicatore di sangue. Tascabile: è il tragico che compri all'edicola, quel che ti fulmina da una telefonata. Ceronetti, con la sua lanterna, lo scopre, lo spiuma, lo seleziona. E perché una finestra s'illumina di tragico e altre dieci, spesso più forti nel gridare la loro pena, restano buie? E chi decide che cos'è tragico e ciò che non lo è? I vagabondaggi dell'autore in cerca del nascosto fungo tragico sconosciuto valgono come testimonianza, ma si perdono nell'insolubile. A differenza di quello di Sofocle, l'Edipo tascabile non arriverà mai a Colono.
A volte a piedi, a volte in treno, a volte in corriera, sempre con gli scrittori amati nella valigia: cosi Ceronetti viaggiò per l'Italia in un periodo di circa due anni, fra il 1981 e il 1983, ispirato da Giulio Einaudi che aveva intuito sposarsi molto bene la sua indignazione satirica con il resoconto di viaggio. Ceronetti attraversa grandi città e piccole località di provincia, visita piazze, monumenti, musei, ma anche carceri, cimiteri, distretti di polizia, manicomi. Annota i manifesti affissi sui muri, le insegne dei negozi, e denuncia le volgarità che lo feriscono. Ma il libro non è solo un reportage splendidamente fazioso. E anche un taccuino affollato di pensieri, di citazioni, di idiosincrasie. Un'enciclopedia caotica da cui attingere il pensiero di Ceronetti: sempre spiazzante, apocalittico, divertente. Con un'appendice di testi inediti e una nuova prefazione dell'autore.
È sotto il segno delle divergenze, e al tempo stesso della comune esigenza di una lettura insieme rigorosa e appassionata, che si apre e si chiude, nell'arco di ventotto anni, l'amicizia epistolare tra Ceronetti e Quinzio: due adelphiani della prima ora. Due vite segnate dalla abissale contaminazione con il sacro e con la parola, da quella poetica a quella scritturale, che l'epistolario restituisce in una policromia di sfumature e di rimandi serrati. Due fedi assolute, infrangibili, irriducibili: da un lato quella paolina, teologicamente "scandalosa", di Sergio Quinzio nella resurrezione della carne, nella consolazione finale; dall'altro quella, filosoficamente tenace, di Guido Ceronetti nel potere della gnosi. Due anime che, ciò nonostante, non cessano di interpellarsi e di ascoltarsi a vicenda, e non soltanto su argomenti teologici, ma anche sui grandi dibattiti che investono la società e la politica (l'aborto, il conflitto israelo-palestinese), fino ai problemi della vita quotidiana (la salute, il cibo, i traslochi).
Due volumetti di versi giovanili, col titolo "Nuovi Salmi" (1955 e 1957), aprono il cammino di poesia in proprio di Guido Ceronetti. Nel 1965 uscì presso Tallone una tiratura per bibliofili della "Ballata dell'infermiere"; nel 2008 il Notes Magico ne pubblicò tutte le ballate ("Le ballate dell'angelo ferito"). Tra il '55 e oggi è passato più di mezzo secolo, un periodo in cui, oltre ai suoi libri in prosa, al teatro e alle traduzioni, Ceronetti ha scritto più di cinquemila versi seguendo un personalissimo percorso poetico. Questa antologia propone una selezione di quanto all'autore stesso sembra la migliore testimonianza del suo assiduo formulare "qualche ideogramma di compassione, di ricordo e di desiderio della luce". Come già per "Trafitture di tenerezza", che raccoglieva il meglio delle traduzioni poetiche di Ceronetti, anche questo libro concentra fin dal titolo aggressività e umiltà, forza e delicatezza. Perentorio ed evanescente come un messaggio in bottiglia. D'altronde per Ceronetti la parola poetica è al contempo ri-chiesta d'aiuto e offerta (a tratti, ma significativa) di salvezza.
"Rappresentare" il presente, graffiare il futuro, proteggere il passato dall'azione del tempo. E farlo attraverso frammenti pulsanti, che restituiscano il peso di un secolo. Dalla parabola del cinema all'ultimo grido del telegrafo, dal demoniaco Helter Skelter dei Beatles al delitto di Novi Ligure, dal contestato suicidio di Marilyn Monroe alla figura anonima di un lucidatore di scarpe ebreo, dall'invenzione del napalm alla tragedia dell'Undici Settembre, dalle cui ceneri nasce, funesta fenice, il nuovo millennio. Ciò che del passato emerge è in primo luogo l'anima devastatrice, la forza distruttiva, il carattere diabolico e irrazionale. Perché il Novecento, con i suoi genocidi, le pene capitali, gli orrendi delitti familiari, e poi con il trionfo della tecnica, l'annientamento della natura e degli animali, è soprattutto morte, apocalisse, rovina. E s'incarna in personaggi diversi, piccini o sublimi, diabolici o angelici o semplicemente umani, in un pazzo elenco. A difesa del mondo, e del genere umano, rimangono alcune tendenze (come il vegetarianesimo) e le testimonianze di autori illuminati che Ceronetti riporta generosamente. Ed è proprio questo S.O.S. di voci che echeggia nell'universo anche dopo la cessazione dei segnali Morse richiesta d'aiuto estrema e inconsapevole, da sempre e per sempre - che può forse rendersi udibile. Un libro in cui Ceronetti si fa cantastorie surreale del reale.
In quella partitura frammentaria per pianola meccanica che si può considerare l'opera di Guido Ceronetti, la parola amore era stata fin qui accostata a ogni condizione della mente e del corpo, tranne forse alla più improbabile di tutte: la felicità. E finalmente cominciamo a intuire perché. Se infatti le filosofie, le religioni e ogni altra forma di sapienza si affannano a smentire anche solo la possibilità statistica di una congiunzione del genere, nell'universo del romanzo qualcosa come un amore felice, sembra dire Ceronetti, può invece esistere. Anche se ha come quinta il contesto meno propizio, una città notturna e sinistra. Anche se i suoi due protagonisti – un vecchio fotografo di guerra piegato dagli anni e dai dolori, Aris, e una donna molto più giovane ma altrettanto segnata, Ada – non sembrano adatti per la parte. E anche se contro il loro pericolante idillio, per ragioni che sarebbe inopportuno svelare, cospira addirittura una razza di insetti alieni, che minaccia i cieli di tutte le città del mondo.
Solo il Filosofo Ignoto, in arte Guido Ceronetti, poteva fondare "Insetti senza frontiere", un'"associazione senza fini di lucro" in difesa della "libertà di pungere" e per la tutela degli insetti, se necessario a scapito del sopravvalutato, e in ogni caso sovrabbondante, genere umano. In questo singolarissimo libro, che ne costituisce il manifesto e il programma, Ceronetti riprende il suo instancabile pellegrinaggio verso i luoghi che esplora da sempre - il corpo, la morte, il crimine, ma anche le fotografie, i versi di poeti lontanissimi, i dipinti, e ancora i giornali, le città, le librerie, unendo alle aspre certezze dell'aforista ("Alla luce del Tragico il mondo non è inesplicabile") i trucchi di un venditore di almanacchi, che intende girare "fiere, supermercati e suk" e proporre una nuova forma di intrattenimento, o di terapia, popolare: l'ascolto personalizzato di "ronzii d'alveare, cori delle cicale, cantare dei grilli".