Ma che idea, lasciare la California per un brumoso paesino della campagna gallese! Se non fosse che il paesino è Hay - on - Wye, «la Mecca dei bibliofili», dove c'è una libreria antiquaria ogni quaranta abitanti, e dove si celebra ogni anno uno dei più noti Festival della Letteratura - e se non fosse che il pellegrino è Paul Collins, instancabile e ardimentoso cacciatore di libri perduti e stravaganti. Ingaggiato nel 2000 da Richard Booth, il libraio che nel 1977 si proclamò Re del Principato Autonomo di Hay, Collins si è potuto dedicare per sei mesi alla sua attività preferita: frugare tra cataste di «libri effimeri che fin dall'inizio non erano destinati a durare», e tramandarci le loro storie. Ed ecco le ponderose raccolte di riviste obsolete («La rivista delle meraviglie, composta per intero di materiale classificabile unicamente come MIRACOLOSO! BIZZARRO! STRANO! STRAMPALATO! SOPRANNATURALE! ECCENTRICO! ASSURDO! OSCURO! e INDESCRIVIBILE!»), le memorie apocrife (Sono stata la cameriera di Hitler) o anonime (Le confessioni della moglie di uno scrittore ), gli autori che scrivono dall'aldilà, e le prime edizioni «grigie e pesanti come tombini ». Mentre cerca casa, fantasticando di stabilirsi definitivamente in un grande «pub sconsacrato» del Seicento, il Sixpence House, Collins riesce anche a far domanda per un seggio alla Camera dei Lord (quella «specie di governo mediante copula. Una spermocrazia, se preferite»). Oltre che una incantevole tranche de vie, Al paese dei libri è una sorprendente meditazione sul valore dei libri nel tempo - e sulla volubile sbadataggine del passato, «l'unico paese dove è ancora lecito prendersi gioco degli indigeni».
Capita, nella vita di tutti, che qualcosa vada storto, magari proprio quando fortuna e gloria erano appena state assaporate, o sembravano a portata di mano. E, a volte, la differenza fra successo e fallimento passa per un capriccio di troppo. A tardiva ricompensa dei loro sogni infranti, i tredici personaggi ritratti in questa galleria di sconfitti hanno tuttavia avuto la ventura di incontrare un biografo, Paul Collins, scrittore contemporaneo capacee di trasformare un dagherrotipo svanito, la pubblicità di un rimedio taumaturgico o il brevetto di un'invenzione portentosa, ma assolutamente inutile, in altrettanti microromanzi.
Il piccolo Morgan Collins ha tre anni. Parla, legge qualche parola, e passa il tempo eseguendo calcoli mentali abbastanza complicati. Ma se gli si chiede come si chiama, non risponde, e le frasi più ovvie sembrano, per lui, rompicapo insolubili. I medici parlano di solito di "autismo". Ma come dimostra Paul Collins in questo affettuoso e toccante ritratto dal vero del figlio, quella parola prima che una diagnosi è la soglia d'accesso a un continente misterioso e affascinante. E quella raccontata dall'autore "non una tragedia, non una storia strappalacrime, non il film della settimana. Solo la mia famiglia".