Negli ultimi due decenni si sono succeduti tanti ministri dell'Istruzione, determinati a cambiare la scuola italiana. Ognuno di loro aveva un'idea alla quale pareva particolarmente affezionato: abolire gli esami a settembre (D'Onofrio], rimettere gli esami a settembre (Fioroni), riformare gli esami di maturità (Berlinguer), riformare la riforma degli esami (Moratti), introdurre il modulo dei tre maestri per due classi nelle scuole elementari (Mattarella), tornare al maestro unico (Gelmini). È palpabile la sensazione che si tratti di un parlar d'altro, un cimentarsi con piccole questioni marginali, un gattopardesco cambiare i nomi delle cose, lasciando tutto immutato. I problemi veri non si affrontano: non si riesce, non si vuole, non si può. Non si può perché la scuola è da anni un tema di scontro politico. Ormai però siamo all'allarme rosso. I livelli di formazione dei nostri alunni sono agli ultimi posti in Europa. E in certi casi le competenze dei docenti sono anche più basse. La dispersione e l'insuccesso hanno costi insostenibili. Insomma, siamo messi davvero male.