La speranza è la grande assente dalla cultura odierna. Essa infatti rimanda essenzialmente a ciò che non è in nostro potere, alla fede, come ricorda giustamente la lettera agli Ebrei. Nello stesso tempo non se ne può fare a meno perché è indispensabile per vivere. Il libro indaga il significato e le caratteristiche di questa "piccola fanciulla impertinente" (Péguy), piccola ma ostinata nel ricordare cosa davvero conti per vivere una vita piena, degna di essere vissuta.
Le Regole e le Annotazioni (oggetto delle cosiddette Istruzioni, solitamente presentate da colui che dà gli esercizi insieme agli spunti per la preghiera) commentate in queste pagine occupano una buona parte del libretto degli Esercizi Spirituali di sant'Ignazio di Loyola. Esse, cercando di fare chiarezza su questo tipo di esperienza, non intendono affatto imprigionare l'opera dello Spirito, ma piuttosto aiutare l'esercitante a rendersi maggiormente disponibile alla Sua azione e a riconoscerne la voce nelle varie situazioni della vita. La posta in gioco, come precisa lo stesso Ignazio, non è di poco conto: "Vincere se stesso e mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna affezione che sia disordinata".
Il libro mette a fuoco alcuni nodi cruciali del rapporto con il mon- do digitale: nella prima parte si analizza il configurarsi di una nuova antropologia, determinata dalle opportunità inedite offer- te dal digitale, che solleva però anche difficili interrogativi etici. La seconda parte affronta i lati oscuri di internet, rappresentati soprattutto dal cyberbullismo e dalle dipendenze, in particola- re quella della pornografia online. La terza parte mostra come questi aspetti siano stati amplificati dalla pandemia e come sia possibile riscoprire dinamiche disattese ma fondamentali per la qualità della vita, che il lockdown ha contribuito a far riemergere.
L'enciclica Fratelli tutti affronta in maniera ricca e articolata il tema della fratellanza, sempre arduo ma ineludibile per il futuro dell'umanità e del nostro pianeta. Senza entrare nel merito di un commento puntuale del testo, il libro riprende alcuni aspetti della fratellanza e li analizza sotto il profilo psicologico, individuando ostacoli e percorsi in grado di promuovere l'incontro. La fratellanza universale è difficile da pensare prima ancora che da capire; il contributo delle scienze umane smentisce luoghi comuni ed evidenzia possibilità talora sconcertanti, ma alla portata di tutti.
Qual è il significato umano e spirituale del desiderio? Si può vivere senza affetti? Cosa significa "valere"? Rabbia e aggressività sono nemici da fuggire o alleati indispensabili? Che fare quando arriva il momento della crisi? Il senso dell'umorismo può essere un segno di salute mentale e spirituale? E quando l'amicizia può considerarsi un aiuto per la propria vita? Quanto incide la paura nelle nostre scelte e nella più generale rappresentazione della vita, della società e della relazione con Dio? Cosa può dire il diffondersi dell'odio anche nelle società apparentemente evolute e civilizzate del XXI secolo? È possibile "curarlo" in qualche modo o ci si deve arrendere alle sue derive? Perché tristezza e felicità, quando le si studiano a fondo, si rimandano vicendevolmente?
In questo libro, che esce in una nuova edizione, aggiornata e ampliata, si cerca di dare una risposta a questi ed altri interrogativi con cui, bene o male, ognuno di noi è chiamato a fare i conti: essi vengono presi in considerazione nel loro rapporto con la vita spirituale, senza con questo trascurare il contributo offerto dalle scienze umane. Scopo di questo confronto è di giungere ad una visione più vera e riconciliata con la propria affettività: un ideale non certo facile e tuttavia necessario.
Gli affetti costituiscono una realtà fragile e apparentemente imprevedibile, eppure sono la nostra forza, un tesoro prezioso per conoscere la verità di noi stessi e del nostro rapporto con Dio.
Ritenuti a torto un mero retaggio del passato, i vizi capitali costituiscono un'autentica enciclopedia delle passioni umane, una lettura geniale dell'agire umano nelle sue derive negative e nei beni cercati attraverso di essi. Chiunque consideri con attenzione questi vizi potrebbe trovarvi ogni possibile situazione di vita, di classe sociale, di attività proprie della giornata dell'uomo di sempre. Si potrebbe dire dei vizi capitali quello che il regista polacco Kiesloswski aveva osservato a proposito dei comandamenti: "Essi riassumono l'intera nostra esistenza, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere: tutti li disattendiamo eppure tutti ci riconosciamo in essi". Questa polarità di trasgressione e ideale evidenzia la perenne attualità del discorso sui vizi, mettendo in guardia da una suggestione mortale: la tentazione di eliminare gli ideali dalla vita, rassegnandosi ad accogliere passivamente ciò che capita, con indifferenza. L'importanza di studiare i vizi capitali si giustifica infine per la profonda saggezza di cui sono portatori. Non a caso sono stati lungo i secoli oggetto di indagine da parte di artisti e studiosi delle discipline più diverse: le loro analisi delineano un profilo dell'uomo di tutti i tempi. Questo libro intende esplorare tale saggezza, avventurandosi in un percorso affascinante che coinvolge teologia, filosofia, psicologia, arte e letteratura.
Il desolante panorama offerto dal crescente numero di edifici sacri abbandonati o destinati agli usi più inconsueti richiama l’attualità della profezia di Nietzsche circa la morte di Dio. Uno sguardo più attento mostra tuttavia come le tematiche religiose (il sacro, il senso della vita e della morte) non scompaiano ma piuttosto si diffondano in maniera capillare e diversificata. Il libro indaga tale andamento mostrando possibili conseguenze a livello sociale, culturale e spirituale. Le nostre società “laiche” sembrano incapaci di affrontare la gran parte delle problematiche odierne: migrazioni, crollo demografico, sfaldamento del tessuto sociale, crisi delle istituzioni e della politica, aumento della solitudine e del male di vivere. Tutto ciò rende improrogabile la ripresa del dialogo tra secolarità e religione. La posta in gioco è la sopravvivenza della nostra civiltà.
Informazioni sull'autore
Giovanni Cucci è laureato in Filosofia all’Università Cattolica del S. Cuore di Milano. Dopo l’ingresso nella Compagnia di Gesù ha compiuto gli studi di Teologia a Napoli alla Facoltà S. Luigi e ha conseguito la licenza in Psicologia e il dottorato in Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana. Attualmente insegna Filosofia e Psicologia allo studentato della Compagnia di Gesù a Padova e all’Università Gregoriana di Roma. Collabora alla rivista «La Civiltà Cattolica».
Basta un'occhiata al banco di una libreria, un rapido zapping alla TV o su Internet per notare l'onnipresenza del tema «felicità». Tale abbondanza lascia anche perplessi, perché significa che non siamo felici o mai come vorremmo. La felicità è alla base di ogni azione quotidiana: come mai allora così pochi si sentono felici? Forse perché la felicità disdegna la compagnia alla quale è solitamente associata (ricchezza, benessere, sicurezza, piacere), per prediligerne un'altra, a prima vista incompatibile (tristezza, austerità, gratuità, empatia). E sembra farsi trovare quando ci si occupa di altro.La felicità è un riflesso eloquente del mistero della vita. Paradossale, illogico e affascinante.
I rapporti tra psicologia e religione non sono mai stati dei più armonici e pacifici. Un approccio per lo più negativo nei confronti del discorso religioso continua a essere assunto in maniera acritica da parte di molti psicologi e psichiatri. Questo studio, in una nuova edizione ampliata, cerca di dimostrare la necessità di un dialogo: religione e psicologia non possono non interagire tra loro. Un libro impegnativo, ma che affronta situazioni di vita che riguardano tutti.
La morte si presenta come una tematica che inquieta e insieme affascina: basti pensare alla sua presenza in film, musiche, romanzi. Nello stesso tempo viene sempre più rimossa dall'immaginario quotidiano, considerata come un accadimento che riguarda solo altri. In queste pagine dopo aver presentato alcune conseguenze di questa rimozione, si cercano di delineare i possibili passi che caratterizzano l'elaborazione del lutto, prendendo spunto da un testo letterario, il "Diario di un dolore" scritto da C.S. Lewis in seguito alla morte della moglie. In questo piccolo libro, l'autore, oltre a indicare il valore terapeutico della scrittura, riconosce che per il lavoro del lutto sono indispensabili due cose: un punto fermo, l'esperienza di senso, che la morte scuote ma non può distruggere, e la vicinanza al dolore altrui.