«Tutto il lavoro teologico di de Lubac sembra essere il frutto di pazienti, "lenti e minuziosi lavori preparatori" che però, nel suo caso, non si perdono in analisi "inutili" o "accecanti", ma lo conducono progressivamente a un "solo sguardo". "Sguardo" che è frutto del delicato equilibrio da lui raggiunto tra un'analisi molto attenta e ben documentata e una visione sintetica che, secondo l'indicazione metodologica del filosofo belga Jean Ladrière (1921-2007), consente di "guardarele cose da più lontano e con uno sguardo più penetrante". [...] Nel volume di de Lubac "La Voi chrétienne. Essai sur la structure du Symbole des Apótres" (La struttura e il simbolo degli Apostoli), il primo dei due volumi che fanno parte della sezione seconda della sua Opera Omnia - dedicata a La fede cristiana -, egli sembra leggere il tema del "solo sguardo" anche in riferimento al carattere sintetico e personale dell'intero percorso della fede: "(La fede) non è solo un modo di conoscere. È tutt'altra cosa che una semplice convinzione. È un atto essenzialmente personale, che impegna, se è ben compreso, il fondo dell'essere. Lo orienta per intero. Così è stato possibile dire che è 'sintesi totale'". E nella stessa opera, riflettendo sul rapporto tra fede e dogma, segnala come l'approfondimento del mistero nella Chiesa debba andare verso l'unità e la semplicità di uno "sguardo" contemplativo, in grado di integrare e compensare il movimento più laborioso, molteplice e oggettivo dell'elaborazione dogmatica: "(L'approfondimento del mistero) conduce sempre al centro e tende a ricostruire o a ritrovare l'unità nella semplicità dello sguardo contemplativo. È il passaggio dalla parola laboriosa e molteplice al raccoglimento unificato del silenzio". La ricerca di questo "sguardo" contemplativo, semplice e silenzioso, costituisce quindi, per de Lubac, uno degli obiettivi fondamentali delle sue ricerche.» (Dall'Introduzione di Claudio Stercal alla Sezione seconda dell'Opera Omnia)
«La Sezione prima degli Opera Omnia di Henri de Lubac si sostanzia di quattro scritti che, sotto il titolo Luomo davanti a Dio, sono ricondotti dallo stesso Autore a questo ordine: 1. Sulle vie di Dio; 2. Il dramma dell'umanesimo ateo; 3. Vroudhon e il Cristianesimo; 4. Paradossi e Nuovi Paradossi. L'intento non è stato quello di una proposizione cronologica, ma dell'articolazione dei nuclei tematici del lavoro e della riflessione teologici e storico-teologici dell'Autore. [...] Dovessimo trovare, per quanto ci è dato osservare, un centro, non sistematico ma genetico, a questo plesso di opere, attorno a cui far gravitare l'impegno circoscritto di questa produzione letteraria, lo vedremmo in quel dialogo "disarmato" tra due ventenni, un gesuita o meglio aspirante gesuita e un neo-insegnante non credente, nelle trincee della Grande Guerra. Ci pare che il fatto, insistentemente ricordato dal teologo, conferisca l'intensità al titolo stesso scelto per la sezione e alla sua problematicità. E ci pare che esso sia ciò che concretamente segna il fuoco o l'anima dell'impegno intellettuale di de Lubac, almeno per questa sezione. [...] "La critica dell'idea di Dio in Proudhon - sottolinea de Lubac -, non porta come in Comte o in Feuerbach, a mettere l'uomo al posto di Dio [...] la religione di Proudhon non è incentrata sull'Umanità, ma sulla Giustizia. Se il problema di Dio, per certi riguardi, rimane in sospeso, la giustizia si impone assolutamente alla coscienza." La Giustizia per Proudhon è definita in tanti modi, ma è così definibile perché gode di una "pienezza che non si può definire che religiosa"» (Dall'Introduzione di Costante Marabelli alla Sezione prima dell'Opera Omnia)
«La Sezione prima degli Opera omnia di Henri de Lubac si sostanzia di quattro scritti che, sotto il titolo lluomo davanti a Dio, sono ricondotti dallo stesso Autore a questo ordine: 1. Sulle vie di Dio; 2. Il dramma dell'umanesimo ateo; 3. Proudhon e il cristianesimo; 4. Paradossi e Nuovi paradossi. L'intento non è stato quello di una proposizione cronologica, ma dell'articolazione dei nuclei tematici del lavoro e della riflessione teologici e storico-teologici dell'Autore. [...] Dovessimo trovare, per quanto ci è dato osservare, un centro, non sistematico ma genetico, a questo plesso di opere, attorno a cui far gravitare l'impegno circoscritto da questa produzione letteraria, lo vedremmo in quel dialogo "disarmato" tra due ventenni, un gesuita o meglio aspirante gesuita e un neo-insegnante non credente, nelle trincee della Grande Guerra. Ci pare che il fatto, insistentemente ricordato dal teologo, conferisca intensità al titolo stesso scelto per la sezione e alla sua problematicità. E ci pare che esso sia ciò che concretamente segna il fuoco o l'anima dell'impegno intellettuale di de Lubac, almeno per questa sezione. [...] Se la pubblicazione del Proudhon fu intensamente voluta da Mounier, quella dei Paradoxes lo fu dal letterato e critico d'arte Stanislas Fumet, figura di punta del cattolicesimo sociale ed anche editore, ma per de Lubac "l'uomo meno commerciale" da lui conosciuto. "Egli - ebbe a scrivere - mi strappò i Paradoxes, la maggior parte dei quali scritti prima della guerra; fu questo, credo, il primo della serie dei suoi Cailloux blancs. Ma la sua casa editrice fallì e il libro restò pressoché invenduto. I Paradoxes "strappati" da Fumet, così come i Nouveaux paradoxes che seguirono sono, secondo lo stesso Autore, "riflessioni di ordine spirituale".» (Dall'Introduzione di Costante Marabelli alla Sezione prima dell'Opera Omnia)
"La sezione prima degli 'Opera omnia' di Henri de Lubac si sostanzia di quattro scritti che, sotto il titolo 'L'uomo davanti a Dio', sono ricondotti dallo stesso autore a questo ordine: 1. 'Sulle vie di Dio'; 2. 'Il dramma dell'umanesimo ateo'; 3. 'Proudhon e il cristianesimo'; 4. 'Paradossi e nuovi paradossi'. L'intento non è stato quello di una proposizione cronologica, ma dell'articolazione dei nuclei tematici del lavoro e della riflessione teologici e storico-teologici dell'autore. [...] Dovessimo trovare, per quanto ci è dato osservare, un centro, non sistematico ma genetico, a questo plesso di opere, attorno a cui far gravitare l'impegno circoscritto da questa produzione letteraria, lo vedremmo in quel dialogo 'disarmato' tra due ventenni, un gesuita o meglio aspirante gesuita e un neo-insegnante non credente, nelle trincee della Grande Guerra. Ci pare che il fatto, insistentemente ricordato dal teologo, conferisca intensità al titolo stesso scelto per la sezione e alla sua problematicità. E ci pare che esso sia ciò che concretamente segna il fuoco o l'anima dell'impegno intellettuale di de Lubac, almeno per questa sezione. [...] Il carattere di quello che de Lubac chiama 'umanesimo ateo' non è assimilabile a quello dell'ateismo volgare e neppure a un 'ateismo puramente critico', 'incapace di sostituire ciò che vuole distruggere'; si tratta di un ateismo che 'vuole essere sempre più positivo, organico, costruttivo'; vuole un nuovo umanesimo, dopo aver agito, mediante una critica radicale perché l'umanità occidentale rinneghi 'le sue origini cristiane' e volti le spalle a Dio. Nella loro diversità questi umanesimi sono accomunati da un 'immanentismo di natura mistica' e da una 'lucida coscienza del divenire umano'. È 'molto più' di un a-teismo, la sua negazione è un anti-teismo, 'più precisamente un anticristianesimo'." (Dall'Introduzione di Costante Marabelli alla sezione prima dell'"Opera omnia")
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'Introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'Opera Omnia)
"Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze." (Dall'introduzione di Franco Buzzi alla Sezione quarta dell'"Opera Omnia")
"Tra il 1951 e il 1955 de Lubac pubblicava a Parigi le due opere principali dedicate al buddhismo: 'Aspects du Bouddhisme' e 'Amida', frutti di un ventennio di studi e d'insegnamento, poi edite nel 1979 nel volume 21 dell''Opera Omnia' in lingua italiana. A queste seguiranno, a breve distanza di tempo, 'La rencontre du Bouddhisme' et de l'Occident' (1952) e, dopo un trentennio, le ultime più mature riflessioni su questo tema nei tre saggi pubblicati in Appendice al tomo II, ventiduesimo volume dell''Opera Omnia' edita da Jaca Book nel 1987. Sono questi gli scritti che ora vengono ripubblicati, in un'epoca oggi segnata dalla globalizzazione e da flussi migratori di rilevanza mondiale, che ridanno piena attualità a questi scritti già fondamentali dal primo loro apparire. La prospettiva principale sotto la quale è esaminato il buddhismo è lontana tanto da pregiudizi negativi, quanto da irenismo o sincretismo. Convinto che l'uomo è un mistero a se stesso, e che il fenomeno universale del misticismo esprime l'agostiniana, inesauribile sete di Dio - 'inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te' - l'Autore esplora le vette buddiche come un alpinista, attratto dalle vette delle varie religioni e filosofie, che però considera come 'tante cime separate da abissi'. Sempre vigile e attento nell'evitare 'l'orgoglio europeo' denunciato da Camus, e la dipendenza dalle 'teorie puramente occidentali' secondo l'ammonimento di Guénon, il Nostro c'introduce nel cuore del pensiero buddhista, traboccante di compassione e verità universali. La mistica buddhista e il suo intreccio filosofico ed etico vanno esaminati, ci raccomanda de Lubac, con il supporto di rigorose analisi storiche, filologiche e scientifiche, ponendo attenzione all'evoluzione plurimillenaria delle dottrine e al vario condizionamento geografico, culturale e sociale nel quale il buddhismo prende forma." (Dall'introduzione di Pier Francesco Fumagalli alla Sezione sesta dell'Opera Omnia)
«Tra il 1951 e il 1955 de Lubac pubblicava a Parigi le due opere principali dedicate al buddhismo: Aspects du Bouddhisme e Amida, frutti di un ventennio di studi e d'insegnamento, poi edite nel 1979 nel volume 21 dell'Opera Omnia in lingua italiana. A queste seguiranno, a breve distanza di tempo, ha rencontre du Bouddhisme et de l'Occident (1952) e, dopo un trentennio, le ultime più mature riflessioni su questo tema nei tre saggi pubblicati in Appendice al tomo il, ventiduesimo volume dell'Opera Omnia edita da Jaca Book nel 1987. Sono questi gli scritti che ora vengono ripubblicati, in un'epoca oggi segnata dalla globalizzazione e da flussi migratori di rilevanza mondiale, che ridanno piena attualità a questi scritti già fondamentali dal primo loro apparire. La prospettiva principale sotto la quale è esaminato il buddhismo è lontana tanto da pregiudizi negativi, quanto da irenismo o sincretismo. Convinto che l'uomo è un mistero a se stesso, e che il fenomeno universale del misticismo esprime l'agostiniana, inesauribile sete di Dio - inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te - l'Autore esplora le vette buddiche come un alpinista, attratto dalle vette delle varie religioni e filosofie, che però considera come "tante cime separate da abissi". Sempre vigile e attento nell'evitare "l'orgoglio europeo" denunciato da Camus, e la dipendenza dalle "teorie puramente occidentali" secondo l'ammonimento di Guénon, il Nostro c'introduce nel cuore del pensiero buddhista, traboccante di compassione e verità universali. La mistica buddhista e il suo intreccio filosofico ed etico vanno esaminati, ci raccomanda de Lubac, con il supporto di rigorose analisi storiche, filologiche e scientifiche, ponendo attenzione all'evoluzione plurimillenaria delle dottrine e al vario condizionamento geografico, culturale e sociale nel quale il buddhismo prende forma». (Dall'Introduzione di Pier Francesco Fumagalli alla Sezione sesta dell'Opera Omnia)
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze.» (Dall'Introduzione di Franco Buzzi)
«Un'incrollabile certezza caratterizza tutto il pensiero di de Lubac sul soprannaturale: contro ogni riduzione antropologica della teologia operata dall'ateismo è possibile al cristiano, partendo dalla sua fede, mostrare a se stesso e a chiunque altro che esiste effettivamente un legame intimo tra la religione del Dio fatto uomo e l'antropologia, senza con ciò aderire alla riduzione antropologica laicista e secolarizzata adottata dall'ateismo, anzi contestandola radicalmente. Infatti, per mezzo di Cristo e in Cristo, Dio, rivelando se stesso all'uomo, rivela anche l'uomo a se stesso, cioè conduce l'uomo a scoprire la sua più propria ed intima essenza e destinazione. Al tempo stesso, sulla scorta di tutti gli studi storici precedentemente svolti da de Lubac sul soprannaturale, si svela anche fino in fondo il facile malinteso circa un modo di intendere il dialogo e la collaborazione pratica con la contemporanea cultura atea. La Chiesa smarrirebbe infatti completamente il senso e la possibilità stessa della sua missione nel mondo, qualora pensasse di poter raggiungere una perfetta condivisione d'intenti con il mondo a partire da un concetto di "natura umana" concepita come pienamente autosufficiente e compiuta in se stessa. Sulla base di questa fragile e contestabile premessa sarebbe fin troppo facile condividere, con tutti i possibili interlocutori, i cosiddetti valori semplicemente umani, lasciando indefinitamente sullo sfondo il problema religioso che giunge a porre seriamente la questione del destino ultimo dell'uomo. In tal caso il "soprannaturale" apparirebbe semplicemente come quel "superfluo" che potrebbe essere messo tranquillamente tra parentesi e sospeso di fatto, senza che esso abbia incidenza alcuna sulla possibilità di individuare, a livello teorico e pratico, l'unico fine ultimo e vero, quello soprannaturale, cui l'uomo reale, creato da Dio, tende di fatto con tutte le sue forze». (Dall'introduzione di Franco Buzzi)